Quando crolla un impero, Soldi nostri

Gli scontri tra Armeni e Azeri nel Nagorno Karabakh, dove è in corso un conflitto che dura da una trentina d’anni, ovvero dal tempo della dissoluzione dell’Unione Sovietica, mi inducono a riflettere sulle conseguenze dello sfaldamento dei grandi imperi della storia, sulla scorta anche di alcune letture che casualmente ho effettuato nel corso dell’estate. Nonostante io mi sia sempre interessato di storia, mi è capitato di apprendere fatti a me ignoti sulla caduta dell’Impero Ottomano da un romanzo, anzi da un giallo. Mi riferisco a “Il borghese Pellegrino”, di Marco Malvaldi (edito da Sellerio) in cui il protagonista, Pellegrino Artusi, padre della gastronomia italiana, ma commerciante di tessuti come attività principale, risulta coinvolto in una trattativa commerciale con una delegazione della Porta. Non svelerò la trama, mi preme solo richiamare alcune note di contesto. In particolare, la situazione debitoria dell’Impero Ottomano, che, nel tentativo di modernizzarsi, verso la fine dell’Ottocento, contrasse ingenti debiti con le istituzioni finanziarie occidentali, fino ad arrivare al default. La crisi finanziaria fu all’origine della successiva dissoluzione di un’entità politica che per secoli, dai tempi della caduta dell’Impero Romano d’Oriente, aveva dominato, oltre all’Asia minore, l’Africa settentrionale e l’Europa balcanica. Richiamo questo aspetto solo per far notare che non sempre il debito “buono” (per usare una definizione cara a Mario Draghi), ovvero quello utilizzato per investimenti, porta a esiti positivi.

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