Chi ruppe i rastelli a Montelupo?

Carlo Maria Cipolla, autorevole storico dell’economia, ha pubblicato diversi interessanti volumi sulle epidemie e sulle loro conseguenze economiche. Tra questi una ricerca (edita presso Il Mulino nel 1977), qui richiamata nel nostro titolo, relativa al contagio diffusosi nel 1630, e soprattutto nell’anno seguente, in un piccolo centro della Toscana a seguito dell’inosservanza delle regole sulla quarantena. Già, perché se era sconosciuta la cura per la malattia provocata dal batterio della peste, era ben noto, all’epoca, il metodo di contenimento del contagio, basato sulla prevenzione e sulla riduzione dei contatti tra le persone. Se allora le regole dettate dalla prudenza furono ignorate, con conseguenze letali per la popolazione, stupisce che al giorno d’oggi, dopo quattro secoli, vi sia chi si oppone a misure razionali o tenda a minimizzare i pericoli di una pandemia virale per la quale non è ancora stata trovata una cura efficace, né tanto meno un vaccino. Che in origine non si sia considerato, e rispettato, l’ovvio principio di precauzione è dimostrato dalla diffusione che il contagio ha avuto in Italia: i casi registrati in un sol giorno in Lombardia sono più numerosi di quelli registrati in due mesi nell’intera Germania. La cosa dovrebbe far riflettere. Ricorderete come, all’inizio, si parlasse di una banale influenza, dannosa solo per gli ultraottantenni (come se questi non fossero persone degne di considerazione) e come, spavaldamente, si invitassero i cittadini a conservare le proprie abitudini di vita. 

L'accesso è riservato agli Abbonati

Se sei già abbonato, accedi per vedere l'articolo completo

Accedi

Accesso completo al sito, più l'
abbonamento digitale annuale

Vi permette di accedere a tutti i contenuti web di VOCE.it e di ricevere la newsletter quotidiana VoceCittà con le notizie del giorno, Voce settimanale digitale e Voce mensile digitale di approfondimento, direttamente al vostro indirizzo mail. Costo Annuo 29€ Abbonati