Sui ristori per i ristoranti che non ristorano più, di Lucia Verrini

Non sembrano esserci state, almeno a Carpi, le adesioni che si prevedevano, alla giornata di protesta di pubblici esercenti e ristoratori lanciata come #IoApro. Sui problemi della categoria e più in generale sui cosiddetti "ristori” riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Lucia Verrini, alle spalle una esperienza da titolare del settore ristorazione.

 

Non so se per semplificarci le cose o se al contrario confondere maggiormente le idee, il Governo ha adottato nelle proprie decisioni un lessico che vuole, immagino, essere più semplificato, forse per dargli un’idea di “popolare” e “popolano”, immagino per aumentarne il consenso. Abbiamo quindi visto la nascita di tutta una seria di decreti “rilancio”, “ripartenza” e “ristoro”, un sacco di ri-qualcosa, per il decreto ridicolaggine attendiamo le prossime conferenze stampa. In particolare la parola “ristoro” è diventata nell’immaginario collettivo sinonimo di tutti gli aiuti messi in campo dallo Stato per aiutare le imprese inginocchiate dalle molte e protratte chiusure. A parte che “ristoro”, ha fatto notare ieri Franco Bechis, è un termine non contemplato dal Codice civile, sarebbe quindi più corretto chiamarlo indennizzo. In realtà per il settore specifico della ristorazione, protagonista oggi del movimento di protesta IoApro, gli aiuti sono arrivati, dove e quando sono arrivati, sotto diverse forme, non bisogna pensare al ristoro come un “punturone” che va a bonificare una somma immaginariamente significativa sul conto corrente aziendale. Si è piuttosto andati ad operare sotto varie forme, in primis quello della cassintegrazione, di normale utilizzo in altri comparti produttivi e industriali, ma di solito non prevista per quello turistico, in cui la ristorazione rientra.

 

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