di Giorgio Verrini, medico ospedaliero, specialista in Urologia
Molti come il sottoscritto, sono speranzosi che il nuovo direttore generale della sanità modenese, dottor Antonio Brambilla, già Direttore generale in quel di Alessandria, faccia funzionare meglio la nostra Azienda Sanitaria a cui prima o poi noi cittadini-pazienti dovremo rivolgerci causa malattia. Premetto che già il termine Azienda sanitaria non mi è mai piaciuto perchè è concettualmente fuorviante in quanto porta a pensare a ”mezzi di produzione”, a “numero di prestazioni”, a “costo pro capite” che mal si addicono agli obiettivi del rapporto medico-paziente fatto di empatia, ascolto e fiducia . È su questo ultimo obiettivo, chiamato “presa in carico del paziente” che dovrebbe spendersi la futura strategia del nuovo Direttore generale, cercando di non riproporre modelli organizzativi di impronta “bocconiana” così cari al suo predecessore Annicchiarico, ma ascoltando piuttosto i racconti di coloro che, causa malattia, hanno intrapreso il percorso diagnostico-terapeutico nelle strutture sanitarie della nostra provincia e scoprire così, dal basso, quali siano le criticità e le disfunzioni del sistema ospedaliero. Per esempio riporterò qui di seguito tre storie prese a caso fra le tante di cui ho conoscenza. Uomo di 67 anni, con ingrossamento benigno della prostata che va incontro a ritenzione urinaria: viene posizionato un catetere vescicale e richiesta visita urologica specialistica urgente (il catetere vescicale è piuttosto fastidioso e foriero di infezioni). Trascorrono 15 giorni prima della visita che si conclude con la richiesta di Ecografia complementare al probabile intervento chirurgico. Per l’Ecografia trascorrono altri 10 giorni e un altro Urologo, benchè nessuna patologia fosse emersa, richiede indagine endocistoscopica eseguita dopo altre due settimane. Al termine della indagine endocistoscopica, del tutto negativa per patologie vescicali e invece confermante il noto dato di ingrossamento prostatico, si programma intervento chirurgico. Dopo altri 10 giorni viene cortesemnete invitato dalla caposala di accedere all’apposito ambulatorio dedicato al prericovero (dopo altra settimana). Il prericovero prevede l’esecuzione di esami di laboratorio, Rx torace, eccetera, ma il tutto verrà valutato dall’anestesista tra 12 giorni e il percorso preoperatorio finalmente sarà completato e il paziente dovrà solo attendere la telefonata della caposala per la comunicazione del giorno dell’intervento: quando non è al momento ipotizzabile, ma non prima di altri 10 o 12 giorni... Quindi oltre 2 mesi di attesa con catetere vescicale per seguire un protocollo aziendale di indagine e terapia che evidentemente non funziona in quanto deresponsabilizza medici e infermieri, non dà punti di riferimento al paziente (sempre più angosciato) ed è quanto di più lontano si possa immaginare dal rapporto empatico, di fiducia e di efficienza che la “presa in carico” dovrebbe rappresentare.