Il milanese emigrato va al supermercato

Il milanese emigrato, quando va al supermercato, ODIA TUTTI.
Il milanese emigrato è abituato a fare la spesa settimanale in un ipermercato della medesima vastità di Neverland Ranch in venti minuti netti, non un secondo di più, e tutto ciò che si frappone tra lui e le casse automatiche sarà soltanto motivo di grande rompimento di palle.
Il milanese emigrato, appena infila il piede destro nel punto vendita, scruta amareggiato la moltitudine dinnanzi a sé, e si domanda: “Ma la gente non c’ha proprio un cazzo da fare?”. Non importa se ci si trova anche lui, al supermercato all’ora di punta del sabato pomeriggio. Lui ha sempre un alibi perfetto, una causa di forza maggiore che lo scagiona in toto, tipo il latte per i bambini, o la schiuma da barba per la depilazione delle ascelle, o la Nutella in offerta con disponibilità limitata.
Il milanese emigrato non ha nessuna voglia di fare conversazione e quelli carini e coccolosi che gli allungano stronzate tipo “Certo che, come si fa a scegliere fra così tanta roba?” li dribbla senza pietà, mantenendo il focus sull’obiettivo: essere fuori da lì in 3 primi, 5 secondi e 52 millesimi.
Il milanese emigrato lungo il suo percorso si imbatte sistematicamente in una fauna di soggetti tipici che albergano nel luogo infernale e che, maledetti, non fanno mai cenno a schiodare, a cambiare punto vendita, o ad imparare da lui l’arte del sapersi spicciare.
Uno dei più simpatici fra questi è sicuramente Il Padrone della Corsia. Il Padrone della Corsia parcheggia il carrello a spina di pesce, tra lo scaffale dei biscotti e quello delle salse pronte. Lo spazio residuo per infilarsi e proseguire gli acquisti è di otto centimetri da una parte e due mele o poco più dall’altra, che se chiami Giselle Buendchen non ci passa nemmeno lei. Indignato, il milanese emigrato si pianta davanti al carrello e aspetta che il suo proprietario, di grazia, si svegli e lo accosti più civilmente allo scaffale, lasciando il passaggio libero. Ovviamente il Padrone della Corsia se ne infischia della sua presenza, mentre il milanese emigrato conta secondi lunghi secoli e valuta il da farsi. Dire “Permesso?” non si può, ha fiutato che qua è un po’ come suonare il clacson quando uno allo scattare del semaforo verde non c’ha lo sprint di Lewis Hamilton. Attendere fino all’imbrunire non è una soluzione, e comunque le sue palle stanno già vorticando così forte che fra poco spiccherà il volo e potrà comodamente oltrepassare ‘sto maleducato sociale viaggiando su nell’atmosfera. Alla fine opta per lo spostamento manuale del mezzo, guadagnandosi finanche uno scroscio di sguardi di disapprovazione dai passanti. Che trivialità.
 

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