Un microbo per amico, Micromega

La sentenza è stata implacabile: le chiazze sul busto che mi porto dietro da qualche anno e che in questa estate si sono moltiplicate all’ignoranza attestano la presenza di una sindrome che si chiama – ohibò – pitiriasi versicolor. Nulla di grave, mi si dice (e mi confermano i siti internet per ipocondriaci), se non il lieve disservizio estetico di avere la superficie del tronco trasformata nel manto di una mucca pezzata o, se si vogliono vedere le cose con candore e ottimismo, di un cane dalmata. Il fatto interessante risiede piuttosto nell’origine di questa affezione dell’epidermide: non c’entra il classico fungo cutaneo, ma un suo parente-collega ancora più basico, un lievito (“un lievito?”, ho chiesto, stranito, per conferma, al mio medico curante) che da millenni ha deciso di prendere residenza presso la pelle di homo sapiens e che in qualche caso (eccomi!) prende coraggio e fa capolino all’aperto, dando al rivestimento esterno dell’ospite le fattezze di un quadro macchiaiolo. I lieviti sono creature semplici, semplicissime, talmente elementari da collocarsi al confine tra chimica e biologia. Stanno appena sopra, per complessità cellulare, ai batteri e ai virus (più o meno), per cui in teoria non ci dovrebbe essere partita con una specie – la nostra – che ha scritto la Divina Commedia, è andata sulla Luna e ha avuto, fra i suoi esponenti, Michael Jordan. Eppure quello della mia cute, dicono gli esperti, potrebbe sopravvivere e prosperare alla facciazza delle eventuali terapie, anche semplicemente contenitive, e quindi – “faccia un bel respiro” – dovrò imparare a conviverci (magari dandogli un nome proprio, un codice fiscale, e nutrendolo con sudorazione supplementare nel caso perda peso, mi dico io). Bel cambio di prospettiva, ho dovuto concludere l’altra sera, di ritorno dal consulto dermatologico, non prima di aver chiamato in terra tutte le divinità dell’Olimpo. Sono passati pochi decenni, ma in verità sembrerebbero ere geologiche, da quando, in linea con la cultura diffusa, il mio rapporto personale nei confronti di queste patologie (e altre consimili) era ispirato e orientato da un igienismo intransigente.

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