La febbre del Rock

Una volta, tanto tempo fa, c’era la febbre del Rock. Cioè la febbre per il Rock and roll, nelle sue diverse manifestazioni e tipologie. I giovani spasimavano per le star, più o meno effimere, del sistema, vestivano come loro, si pettinavano come loro, facevano, tendenzialmente, quello che loro raccomandavano (fra cui, notoriamente, sesso, droga e, appunto, altro rock and roll, ovvero gruppetti, schitarrate, esibizioni, eccetera). La febbre del Rock and roll intesa come passione per esso intramava le vite, condizionava i pensieri e i comportamenti, formava letteralmente le generazioni, che si riconoscevano in un dato periodo e in una precisa tendenza della breve ma intensa storia del fenomeno “rock”, ricavandone anche suggestioni identitarie e – di complemento – spinte divisive (i rocker contro i mods, i punk da una parte e i metallari dall’altra, e così via). La febbre del Rock and roll, in quanto culto e devozione per i suoi sacerdoti e le sue vestali, assumeva presto e facilmente tutte le fattezze di una fede: si facevano pellegrinaggi e si sopportavano sacrifici per poter assistere agli spettacoli, si coltivava il culto delle reliquie (originali o fittizie) delle star, si salmodiava tutto l’anno, cantando e ballando con l’accompagnamento delle registrazioni su vinile, in attesa della liturgia somma rappresentata dall’evento-concerto. Certo, non era, il Rock and roll, una religione della salvezza e della redenzione; semmai esso preferiva insistere sulla condanna e la dannazione, dei suoi apostoli come dei suoi adepti, e se prometteva un riscatto lo faceva in funzione del qui e adesso di una gioventù che si sentiva bruciare (e che periodicamente accompagnava all’eterno riposo del camposanto i propri idoli in vena di precoce autodistruzione). La febbre del Rock and roll, insomma, era una cosa seria, anche drammatica, un bradisismo capace di modificare il rapporto fra le generazioni, di dare un inedito significato all’essere giovani, fino a permeare l’intera società, anche negli anfratti più impensabili, schiudendo nuove mentalità e concezioni della vita. Oggi, di tale sommovimento, rimane l’elemento-febbre. Nel senso, però, che dalla febbre del Rock intesa come estasi per esso siamo passati alla febbre del Rock, nell’accezione più letterale di “patologia” di un certo tipo di tradizione musicale. Che è appannata, invecchiata, alterata, e non di rado un po’ delirante, come si confà, appunto, a chi ha la febbre. 

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