Micromega del 28 novembre

È tempo di popcorn

Alla fine, dopo un mese circa di abboccamenti, tentativi, profferte, ci sono riuscito. È sabato sera e sto andando con Simona a vedere Joker, il film Leone d’oro a Venezia sul super criminale arcinemico di Batman. È un’opera che trae spunto dall’immaginario fumettistico, in particolare da quell’universo della DC comics (Batman, Superman, Lanterna verde, eccetera) che, nella prospettiva dei cultori, sta al mondo Marvel (da Spiderman in giù) un po’ come l’Iliade stava e sta all’Odissea. Ma al netto della derivazione nazional-popolare, Joker si presenta, ancor più della ampiamente celebrata trilogia sul Cavaliere oscuro o di altri raffinati lungometraggi supereroistici, come opera ambiziosa e complessa. In effetti il film è tutt’altro che banale, non solo perché evidentemente straniante nel descrivere la genesi non di un valoroso vendicatore o di un giustiziere buono, ma di un criminale, efferato e cinico nel dare la morte e nel farlo con il disprezzo delle proverbiali risate. Il film cattura perché sia dal punto di vista della narrazione, sia dal punto di vista delle suggestioni interpretative vi si sovrappongono vari piani. È il racconto coinvolgente di uno sconfitto, di un perdente, che a un certo punto da paria della società finisce per incarnare e rappresentare tutti gli outsider dell’immaginaria metropoli di Gotham City ovvero, fuor di metafora, tutte quelle persone e generazioni che nell’affollato e diseguale mondo del XXI secolo non hanno trovato e ormai disperano di trovare un posto al sole. Ma è anche la inquietante ricostruzione della genealogia di una personalità polarizzata, prima estrema nel perseguire pateticamente l’obiettivo di essere accolta, stimata e amata dagli altri, poi altrettanto radicale nell’imporre a quegli altri stessi la propria feroce pratica di disprezzo ridanciano e di morte. 

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