Ovale è meglio

Dicono che in Italia e nel mondo il numero degli appassionati e praticanti di rugby – il fratello, anzi gemello, maggiore del football – risulti in costante ascesa. Dicono che tanto a livello giovanile quanto in ambito femminile ci sia stata negli ultimi tempi una vera esplosione di vocazioni, capace di intaccare le mitologie sottilmente maschiliste di uno sport considerato per eccellenza da uomini adulti e duri. Dicono che l’indotto economico di manifestazioni di punta del rugby mondiale, come il torneo europeo delle Sei Nazioni, o i mondiali che si svolgono con cadenza quadriennale, sia, in proporzione agli investimenti, più rilevante di quello di una olimpiade o di un Coppa del mondo di calcio, perché il popolo della palla ovale è tendenzialmente abbiente, giramondo e a suo modo godereccio. Pare poi che una partita di rugby, di alto livello, vista dal vivo sia veramente uno spettacolo, perché consente di apprezzare i movimenti a fisarmonica delle squadre e cogliere la continua alternanza tra momenti di forza e (regolata) brutalità da un lato e fasi di agilità e intelligenza dall’altro. A me è capitata l’occasione un paio di domeniche fa, quando insieme a un paio di altri pazzi sono andato all’Olimpico di Roma a vedere la (inaspettatamente) combattuta Italia-Irlanda (16-26 il punteggio, per gli statistici). 

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