Social Trump

Si discute parecchio, in queste ore, se sia lecito che Twitter, Facebook e social vari decidano di censurare Donald Trump. I pareri di chi è contrario scomodano, come fa Massimo Cacciari oggi su la Repubblica, la questione di principio: “Ha dell'incredibile che un'impresa economica la cui logica è volta al profitto, come è giusto che sia, possa decidere chi parla e chi no”. Altri, come Pierluigi Battista sul Corriere, sottolineano come Trump sia stato silenziato, mentre possono tranquillamente continuare a esprimersi sui grandi social network americani l'ayatollah Kamenei, i leader russi e cinesi, i presidenti Erdogan e Maduro e uno stuolo di dittatori e caudillos. Il punto è che, per quanto giganteschi e planetari, i social network in questione sono privati, non ricevono sovvenzioni pubbliche – se non nella forma indiretta di una gigantesca evasione fiscale – per le quali siano tenuti a mantenere un qualsivoglia ruolo di assoluta neutralità. Non siamo, insomma, alle frequenze pubbliche concesse alle televisioni del gruppo Mediaset, in virtù delle quali una Commissione parlamentare di vigilanza poteva eccepire sul minutaggio riservato a questo o quel partito politico, fino ad autorizzare chiunque, nell'eventualità, a parlare di censure. Semmai, la questione è come sia stato possibile che gruppi privati abbiano acquistato tanta forza da diventare un veicolo indispensabile, praticamente unico quanto a capacità di penetrazione capillare, anche per la comunicazione pubblica, dal Sindaco di Carpi, su su, fino al Presidente degli Stati Uniti. Potere della tecnologia e dell'iniziativa privata, si dirà, con il pubblico a inseguire, come sempre. Ma il pubblico, secondo propria missione, dovrà prima o poi sforzarsi di metterci una toppa legislativa con validità universale. Mica facile: pubblico chi?, verrebbe da chiedersi.   

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