Critici, Metacarpi del 12 marzo

Ha detto bene la signora che, commentando il decreto dell’8 marzo (ce lo ricorderemo così, per la coincidenza con la Festa della Donna, come fu per il sisma del 2012 con quella del Patrono) ha scritto sui social: “Il senso è responsabilizzare la gente; il passo successivo è l’imposizione”. Lo diceva per replicare alla consueta litania di critiche riversate sugli atti decisi finora dal Governo centrale, solo perché non prevedono questo o quest’altro, chiudono una cosa e ne lasciano aperta un’altra, dicono e subito dopo si contraddicono. Ovviamente per concluderne con lo slogan più caro agli Italiani: siamo guidati da una manica di incapaci. Ma la pretesa che un testo, per quanto corposo, possa racchiudere tutte le ipotesi, tutte le evenienze, tutte le eccezioni e le sfaccettature di comportamento di una comunità di 60 milioni di individui non nasconde proprio la delega totale in fatto di responsabilità del singolo? Dopo la quale, è vero, restano solo lo stato d’assedio imposto con il pugno di ferro e un poliziotto per abitante. Pensiamoci, quando pretendiamo che nei decreti ci stia tutto. 

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