Mica abbiamo dovuto attendere la vittoria di Zingaretti, qui, per chiudere con il renzismo. Prima ci siamo stipati tutti – consiglieri regionali, assessori, parlamentari – sul carro del leader fiorentino, facendone scivolar giù l’unico che c’era fin dall’inizio. Poi abbiamo fatto posto a un altro che, salito di controvoglia, ha finito per trovarsi meglio di tutti, credendo davvero all’uomo solo al comando, ai cerchi magici, al virile decisionismo contrapposto alle timidezze e ai rovelli dei compagni di strada nostalgici di Pierluigi Bersani. Gli abbiamo lasciato costruire un suo personale palazzo del potere, presidiato da fedelissimi a dispensare feste, intrattenimenti e ottimismo senza badare a spese. Noi, invece – consiglieri regionali, assessori, parlamentari – colto al volo il mutar del vento, scendevamo intanto uno dopo l’altro e zitti zitti dal carro. Finché ci è rimasto solo lui, là sopra, ad agitarsi felicemente inconsapevole. Proprio come Alibante da Toledo che, pur affettato dalla Durlindana di Orlando, “...del colpo non accorto, andava combattendo ed era morto”.
7 Marzo 2019
Carri, rubrica Metacarpi di Voce del 7 marzo
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