Sopprimere una Diocesi non può essere solo una scelta organizzativa, Lettera firmata

In questi afosi pomeriggi estivi, può capitare di entrare nella fresca Cattedrale di Carpi. Percorrendo la navata destra, si arriva al transetto, per terra le lapidi di sepoltura dei vescovi Pranzini, Dalla Zuanna e Prati. Appena oltre, nell’atrio dell’altare di San Valeriano, ecco di fronte la reliquia del Beato Odoardo. Non a caso, in questo dialogo memoriale di spazio devozionale, vescovi e santi stanno gli uni di fronte agli altri a ricordarci il cammino e a proporre un percorso di fede e di dialogo che trascende il tempo e lo racchiude nella dimensione spaziale di alcuni metri quadrati, sotto il benevolo sguardo dell’Assunta. La questione della soppressione di una Chiesa locale non è semplicemente un fatto meramente organizzativo e di gestione burocratica ma principalmente un atto che si colloca in una dimensione spirituale, recidendo una fraternità che cammina da secoli e che trova nella guida del proprio pastore, un riferimento insostituibile. In un territorio come quello della Diocesi di Carpi, lo Spirito ha avuto delle sponde importanti nei vescovi, nei sacerdoti e nei tanti laici per narrare in modo creativo e vivace il Vangelo di Gesù Cristo. Certo, ci possono essere ottimizzazioni da fare, come già indicato dall’amministratore apostolico Castellucci: è tempo di trovare sinergie e dialogo tra le chiese vicine. Ma Carpi ha il giusto entusiasmo dei fedeli, e né più né meno i problemi di tante diocesi italiane rispetto a invecchiamento del clero e secolarizzazione.

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