L’arcipelago del cane, la Lettura del 1 agosto

In una piccola isola dell’Arcipelago del cane, una costellazione di terre vulcaniche in un punto imprecisato fra due continenti, una mattina di settembre quella che era stata la vita sonnolenta degli abitanti sembra finita per sempre. La Vecchia, ex maestra anziana e arcigna che non riesce a tollerare che un Maestro più giovane abbia preso il suo posto, passeggiando con il cane sulla riva del mare trova tre cadaveri gettati dalle onde sulla costa. Non si sa chi siano né da dove vengano, e il Sindaco, il Dottore e il Parroco decidono che in qualche modo devono sparire e nulla deve trapelare del loro ritrovamento: questo perché da tempo si vogliono ripristinare e restaurare le terme e una notizia di questo tipo potrebbe compromettere lo sviluppo turistico. Il Maestro è contrario e cerca di far valere la sua opinione: si tratta di esseri umani che hanno diritto a una sepoltura e soprattutto bisogna che si sappia della loro esistenza finita in modo così tragico. Ma a nulla valgono le sue opinioni e durante la notte il Sindaco, il Parroco, il Dottore, la Vecchia, aiutati da Spada e America, due isolani tuttofare, trovano il modo di sbarazzarsi dei cadaveri di cui nessun altro oltre loro sa nulla. Da quel momento la vita cambia per tutti e un’ombra di morte, simbolicamente rappresentata da un fetore insopportabile che invade l’aria, cade sugli abitanti. “La morte dei tre giovani neri non aveva avuto luogo sull’isola. Il mare li aveva abbandonati sulla battigia come pezzi di legno spinti dalle correnti. Nessuno li conosceva e le loro vite precedenti non avevano mai sfiorato quelle degli isolani. Soltanto la morte le aveva fatte incrociare, ma questa non era una ragione sufficiente perché la quotidianità dei vivi ne fosse turbata.” È un romanzo forte e implacabile, scritto in modo incisivo e originale e la storia si snoda come un giallo che ha però i toni della tragedia greca. I fatti sono di un realismo che sfiora la cronaca, le vicende narrate sono quasi le stesse vicende che trafiggono il nostro presente, ma tutto è come sommerso da un’aura fiabesca, mitica, che richiama a quelle fiabe e a quei miti in cui non c’è lieto fine e quello che emerge alla fine è sempre l’inadeguatezza dell’uomo a vivere in armonia con gli altri uomini e con se stesso. L’isola vulcanica, anche se famosa per i suoi vini che ti portano alla gola sole e miele, ha qualcosa di tetro, di infernale e tutti i personaggi di queste pagine, che non hanno un nome proprio, perché il nome proprio dà all’uomo dignità, sembra debbano scontare un peccato che assomiglia a quello dell’ignavia, dell’indifferenza, un peccato che ha su di sé i colori della vergogna.

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