L’acqua, gli argini e il materasso, In cornice del 21 novembre

Tutte le volte che ci sono disastri legati all’acqua che vien fuori dai fiumi mi si fa davanti agli occhi un film. Film di più di sessant’anni fa. Ero piccola, ero affacciata alla finestra della casa antica in corso Roma. Casa della fabbrica di cappelli Tagliavini e Pratissoli. Mia nonna issa un materasso sul davanzale della finestra, finestra aperta sul cuore della città e sotto la quale molti eventi trascorsero meglio che sullo schermo di una televisione che allora non era ancora stata inventata. Disgrazie, cortei, oppure semplici eventi come quelli degli spettacoli e dei circhi. Mia nonna issa il materasso di lana legato a rotolo e lo fa cadere giù, giusto sul cassone del camion che passa sotto a raccogliere cose da donare. Non è il grido dello stracciaio che chiede: “gh’iv di stràs, cavìi...”, è il grido del megafono che ricorda quello che ha detto la radio, che il Po è venuto fuori dalle sue parti basse, così la gente, alluvionata, ha bisogno di tutto. Mia nonna non era particolarmente generosa, ma prudente e accorta, come tutte quelle persone che hanno patito mancanze e difficoltà. Mia nonna non buttava via un stramàs con leggerezza che, la lana, era l’oro della famiglia. Ma mia nonna sapeva che cosa vuol dire l’acqua, la paura dell’acqua, nata in Brasile sulle sponde del rio Paranà erano andati via poi tornati dal fondo che avevano a Rovereto sulla Secchia per troppe bocche da sfamare. 

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