“Mi chiamano comunista, ma parlo come papa Wojtyla”, ha detto papa Bergoglio, scherzando con i giornalisti sull’aereo che lo riportava a Roma da un viaggio in Africa. Era il settembre 2019 e l’enciclica “Fratelli tutti” era ancora di là da venire: un testo che, se non si può dire di certo che Bergoglio sia comunista, non esiteremmo a definire, appunto, comunista. Bum... E adesso vai con le critiche e con l’accostamento dello scrivente agli editorialisti di destra che non hanno avuto il minimo scrupolo a scomodare l’aggettivo, al primo apparire dell’enciclica. Stabiliamo subito un distinguo, anche per tranquillizzare quegli esponenti del mondo cattolico che hanno speso una vita in nome dell’anticomunismo e che hanno identificato quasi totalmente la loro professione di fede con le barricate erette contro l’ideologia negatrice della sacralità e della trascendenza, che definiva la religione “oppio dei popoli”. In una parola, contro il comunismo realizzato. Si vorrebbe insomma riportare il concetto al suo nucleo ispiratore originario, lo stesso che papa Bergoglio riassume nel primato assoluto del “bene comune”.
11 Dicembre 2020
Papa Bergoglio non sarà comunista, ma l'enciclica ci è andata vicino
L'accesso è riservato agli Abbonati
Se sei già abbonato, accedi per vedere l'articolo completo
AccediAccesso completo al sito, più l'
abbonamento digitale annuale
Vi permette di accedere a tutti i contenuti web di VOCE.it e di ricevere la newsletter quotidiana VoceCittà con le notizie del giorno, Voce settimanale digitale e Voce mensile digitale di approfondimento, direttamente al vostro indirizzo mail.
Costo Annuo 29€
Abbonati