Un paio di scarpette rosse, di Joyce Lussu

Di nomi e cognomi ne aveva fin troppi, Gioconda Beatrice Salvatori Paleotti, forse per questo per tutti era poi solo Joyce e scelse Lussu, che era il cognome del secondo marito, Emilio, noto personaggio politico antifascista e autore di "Un anno sull' altipiano" il suo libro più famoso. I genitori di lei erano intellettuali “...in casa c' erano più libri che mobili” ricordava, avevano ascendenti inglesi ed erano nel mirino della persecuzione fascista, per cui si rifugiarono in Svizzera e Joyce, già perfettamente bilingue (italiano e inglese) perfezionò anche il francese e il tedesco. Era nata nel 1912, la sua vita era già molto speciale, data anche dalla sua curiosità, vivacità, amore per la cultura.

L'avevo conosciuta come traduttrice del poeta turco Nazim Hickmet (incontreremo anche lui). Ma delle poesie di lei non sapevo nulla e poco della sua vita se non i punti più noti: medaglia d'argento della Resistenza, attività clandestina, coraggiosa spericolata, donna fortissima, sempre pronta a togliersi dalle briglie degli apparati e dei partiti, sempre "contro". Insomma, un mito.

Quandi la conobbi di persona, qui in Valpolicella veronese, era già molto anziana (la foto è scattata da me in quella occasione) necessitava di un po' di aiuto ma era sempre una irriducibile bastian contraria e tabagista per cui pretese di fumare in una stupenda sala consiliare con parquet di legno chiaro e tutti noi eravamo terrorizzati per le eventuali braci e ceneri e allarmi ma non ci fu verso. Fece l'apologia della ribellione alle imposizioni anche innocenti, salutari, di igiene...gli organizzatori si stavano forse pentendo di averla invitata...quando lei cominciò a raccontare di tutto, a ruota libera, inesauribile, di come si fosse intesa con Nazim Hickmet anche al di fuori delle parole, con i gesti, le sigarette, le espressioni del volto; di come avesse imparato in clandestinità a falsificare documenti e di come erano nate alcune sue poesie, Quando ci raccontò di Buchenwald e di quello che aveva visto e ci recitò “Scarpette rosse" con la voce profonda roca di fumo e con le lacrime agli occhi, eravamo tutti zitti zitti con un muto magone palpabile, in quella magnifica sala fumosa. Le finestre furono spalancate, entrava la brezza del tramonto e Joyce fu applaudita, abbracciata e perdonata: si perdona tutto ai vecchi, ai poeti, ai coraggiosi. 

Lei era tutto questo.

Nella  prossima " puntata " a lei dedicata, la conosceremo anche nel suo lato provocatorio e irridente. Ora la ricordo con la sua poesia, forse, più famosa. 

 

 

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