Tra il Coronavirus e il virale

Mi ha molto stupito leggere, pochi giorni fa, il post della pagina Facebook di un ristorante di cucina asiatica di Carpi, piuttosto conosciuto e frequentato. Vi si chiedeva di non farsi prendere dalla psicosi conseguente alle notizie sul Coronavirus, dalle quali siamo continuamente bombardati in una spirale di allarmismi poi smentiti, sensazionalismo e fake news. Vi si sottolineava la provenienza sicura delle materie prime utilizzate e ci si sentiva in obbligo di chiarire che nessuno dei dipendenti è tornato dalla Cina negli ultimi mesi. Questo post fa pensare perché dà l’idea delle dimensioni raggiunte dalla psicosi generale, ingigantita senza dubbio dall’utilizzo di internet. Il Coronavirus è la prima vera “epidemia ai tempi dei social”, perché l’ebola l’abbiamo sempre sentita tutti troppo lontana, circoscritta a regioni di cui in generale l’opinione pubblica si interessa poco. E nel mezzo di questo terrorismo mediatico, tra notizie e smentite, valanghe di post sulle mascherine e bollettini apocalittici viene spontaneo chiedersi quale sia la manifestazione virale più pericolosa: il contagio reale, che varca i confini dei paesi, oppure quello virtuale che si nutre di fake news e terrorismo mediatico e che valica i confini della razionalità? “Virale” è proprio l’aggettivo più adatto a descrivere entrambe le forme di pericolosità, indicando qualcosa che si diffonde in modo capillare, rapido, indiscriminato. Basta infatti scorrere casualmente la home di facebook per notare la frequenza di articoli sui presunti casi di Bari, Parma – e chi più ne ha più ne metta – fino a degenerare negli immancabili post dei complottisti che sostengono che il virus sia stato creato in laboratorio con i fini più vari, dalle armi chimiche alla speculazione sul vaccino (che ancora, ricordiamolo, non esiste). Razzismo e xenofobia – nei confronti dei quali, come si è già visto, le difese immunitarie degli italiani sono piuttosto deboli – impazzano su ogni piattaforma denigrando stili di vita, norme igieniche e usi alimentari di popoli che non si conoscono. Timori e domande si raccolgono nei commenti dei post, e il politically correct è proprio l’ultima cosa che passa attraverso le tastiere, portatrici – non tanto sane – della saturazione mediatica sul tema, focolaio al quale siamo tutti esposti. Non esiste vaccino, al momento, contro il Coronavirus. Invece contro la seconda forma virale, quella che si manifesta con i sintomi delle fake news e della paura incontrollata, il rimedio esiste e si chiama razionalità. E allora non si può che fare proprio il monito del ristorante asiatico di cui sopra, che concludeva il post con un invito al buonsenso per evitare che terrori infondati possano portare alla discriminazione. Alla vista di certi contenuti e titoloni tonanti non resta che accendere il cervello e passare oltre ridendoci su, magari davanti a un bel piatto di spaghetti di soia.

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