Dopo 20 anni il fast fashion sta attraversando una crisi profonda. La pandemia ha inferto un duro colpo al settore della moda in generale e, contrariamente a quanto si pensa, non ha risparmiato neppure la moda low cost e “veloce”. Saracinesche abbassate, danni miliardari, ordini saltati, posti di lavoro a rischio: il lungo lockdown ha tolto linfa al settore che, dalla fine degli anni Novanta, combinando prodotti a basso costo con assortimenti rapidi, si era imposto trasformando (spesso in peggio) le abitudini di consumo globali. Nel 2020 la scure del Coronavirus si è abbattuta su molti colossi del comparto come Zara, H&M e Primark. Ha fatto notizia, nei mesi scorsi, l’annuncio del gruppo Inditex (cui fanno capo i marchi Zara, Pull&Bear, Stradivarius, Bershka, Oysho, Zara Home e Massimo Dutti) di chiudere 1.200 negozi tra Europa e Asia. L’azienda spagnola ha fatto sapere che la nuova strategia di crescita punterà maggiormente sull’e-commerce, canale in ascesa soprattutto durante lo stop forzato di marzo e aprile e l’obbligo di distanziamento sociale. Anche la svedese H&M chiuderà centinaia di punti vendita in tutto il mondo e ha dichiarato di aspettarsi perdite almeno del 30 per cento per il 2020.
9 Settembre 2020
In crisi per dipendenza dalla globalizzazione e consumatori più esigenti
Fast fashion vittima del Covid?
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