Report e i brand che risparmiano sui controlli e fanno estinguere i produttori nostrani

Quanto fa male delocalizzare

Una puntata della trasmissione sulle false garanzie fornite in materia di sostenibilità, salute dei lavoratori e dei consumatori per i capi fatti in Cina e Tunisia. Per risparmiare 1,50 euro su un jeans rivenduto a 150 si lasciano morire le nostre aziende

Negli ultimi tempi nella moda si fa un gran parlare di sostenibilità, di ecologia e di rispetto per la natura. Tanto che tutto il fashion system (stilisti, griffe, marchi) si dichiara contro certe pratiche come lo sfruttamento dei lavoratori e l’utilizzo di sostanze nocive per la salute e per l’ambiente. La settimana della moda milanese da un paio di edizioni ha perfino istituito i Green Carpet Fashion Awards, una sorta di Oscar della sostenibilità che premiano chi si è distinto al riguardo. Insomma, essere green, oltre che una questione di etica, è di per sé, una moda: se non lo sei, sei out. E, come ha dimostrato Report nella puntata del 3 dicembre, spesso i marchi e le griffe ci giocano su: siamo davvero nell’era dell’eco- sostenibilità o è tutto un bluff? Secondo quanto riportato dalla trasmissione di Rai3 nel servizio intitolato “Pulp Fashion”, gran parte del fashion biz avrebbe lanciato soltanto buoni propositi e fatto false promesse. La maggior parte dei grandi marchi della moda italiana e internazionale – dal gruppo del lusso francese Lvhm ai colossi del low cost come Zara e H&M fino alle firme del made in Italy, tra cui Max Mara e Diesel – ha trasferito l’intera produzione in paesi dove la manodopera costa poco e i controlli sono spesso inesistenti. Ciò nonostante garantiscono che la loro catena produttiva tutela la salute dei lavoratori, quella dei consumatori e l’ambiente.

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