La mostra apre nell'ambito del Festivalfilosofia e rimarrà allestita fino al 6 marzo 2022

Carpi, a Palazzo dei Pio inaugura Habitus

In esposizione una serie di capi iconici che hanno rivoluzionato la moda del Novecento. Ma anche cataloghi, fotografie e tessuti.

L’anticorsetto, i pantaloni, il power suit, il reggiseno, il bikini, la minigonna, i jeans, la t-shirt, gli hotpants, la felpa, il wrap dress e la giacca destrutturata. Sono i dodici capi di abbigliamento iconici che hanno scritto altrettante tappe della moda del Novecento, rivoluzionandola, secondo la mostra “Habitus. Indossare la libertà” che inaugura oggi, venerdì 17 settembre, ai Musei di Palazzo dei Pio nell’ambito del Festivalfilosofia dedicato, appunto, al tema della libertà. I passaggi di innovazione della moda hanno spesso coinciso con momenti di liberazione del corpo, soprattutto femminile, da costrizioni fisiche e sociali. La moda, infatti, è una delle forme espressive umane che forse meglio incarna i continui cambiamenti storici e il concetto stesso di libertà.

L’esposizione, curata da Manuela Rossi, Alberto Caselli Manzini e Luca Panaro, ideata e prodotta dal Comune di Carpi col contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e Assicoop Unipol Assicurazioni, presenta una serie di indumenti iconici “indossati” dai manichini sartoriali di "Alain Leporati - King Manichini" di Carpi, come gli abiti ispirati all’anticorsetto di Paul Poiret, i primi pantaloni creati da Coco Chanel per le donne, la minigonna, gli hot pants, i bikini, i jeans, la giacca destrutturata di Giorgio Armani, e molti altri ancora che hanno contribuito all’emancipazione, alla sovversione di paradigmi e canoni e alla liberazione dei costumi sociali.

«La nostra esposizione indaga i momenti in cui nella storia della moda il sistema definito da Pierre Bordieu, l’habitus, è stato superato, destabilizzato e innovato – ha spiegato la direttrice dei Musei Manuela Rossi alla presentazione della mostra – dall’invenzione di capi che hanno portato un seme di ribellione e di libertà fino ad allora inconcepibile. Sono stati individuati dodici capi, poi diventati iconici, che dal primo Novecento hanno sovvertito, non senza fatica, il sistema valoriale della moda fino a quel momento».

Il percorso espositivo si sviluppa in quattro sezioni, ciascuna introdotta da fotografie, video, musica che contestualizzano il periodo preso in esame. «Attraverso una sessantina di pezzi provenienti da prestigiosi archivi e che si riferiscono ai dodici capi iconici – ha spiegato Alberto Caselli Manzini – abbiamo cercato di raccontare la storia sociale e culturale del secolo scorso soffermandoci sui momenti di rottura di questo habitus. Ogni pezzo è un simbolo che ha contribuito alla libertà della donna».

Luca Panaro, che in passato ha curato le mostre su Watson e Newton a Palazzo dei Pio, si è occupato della parte iconografica. «Alle fotografie d’autore, di moda e di pubblicità – ha spiegato il curatore e docente di Critica fotografica all’Accademia  di Belle Arti di Brera a Milano –, tra cui quelle di Beppe Lopetrone e di Ferdinando Scianna, abbiamo affiancato, i tessuti della Fondazione FRI (Fashion Research Italy) di Bologna, i documenti e le foto del Centro di Ricerca Enografica di Carpi».

La prima sezione, “Liberare il corpo”, prende avvio a inizio Novecento, quando i creatori di moda si pongono come obiettivo principale quello di liberare il corpo femminile dalle costrizioni dell’abbigliamento (busti, pizzi, abiti lunghi) e quindi dalle convenzioni sociali che chiudono la donna in cliché predefiniti. “Scoprire il corpo” introduce il visitatore negli anni del secondo dopoguerra, quando le donne, complice anche la diffusione delle immagini cinematografiche, affermano le loro libertà anche scoprendo il proprio corpo. Silvana Mangano di Riso amaro (1949) veste nel film esattamente come le mondine che partivano da Carpi per le terre piemontesi e le minigonne non erano molto diverse da quelle che le operaie delle fabbriche di Carpi si cucivano negli anni Sessanta. Con la sezione “Work, sport, cool”, la rassegna si spinge negli anni Settanta e Ottanta, periodo in cui la moda diventa unisex, e il vestito griffato, tipico della sartoria artigianale, lascia il posto al prêt-à-porter con capi prodotti serialmente. In esposizione diversi capi legati al distretto carpigiano: una t-shirt Blumarine tempestata di Swarovski e alcune felpe Best Company e Champion, che è presente con uno scenografico allestimento con una serie di sneakers bianche. Anche a Cosabella, marchio di intimo indossato dalla fashion victim Carrie Bradshaw in Sex and The City e prodotto dalla Cosabella di Carpi, è dedicato una scenografica installazione di reggiseni colorati.

La mostra si chiude con “Destrutturare”, un passaggio all’interno della moda degli anni Settanta caratterizzata da due capi divenuti iconici, come il Wrap dress di Diane von Furstenberg e la Giacca destrutturata di Giorgio Armani, che impongono una nuova concezione di abito.