La terza puntata della storia di Annita Frapportri e del carpigiano Mario Pavarotti: la tipografia, il fascismo, il suicidio

Una pallottola e un mistero

Si conclude tragicamente, con un colpo di pistola sparato alla tempia, la storia di Mario Pavarotti scoperta da Gisella Sillingardi e Marcelo Trobini

Non durerà molto l’unione di Annita Frapporti con Umberto Mutinelli, di professione impiegato municipale, più anziano di lei di sei anni, con il quale, dopo la rottura con Mario Pavarotti, si era trasferita a Verona. Appena nove mesi, per la precisione: la tubercolosi se la portò via il primo giorno di agosto del 1922, ad appena 21 anni. Non vi è traccia, nell’epistolario di Mario Pavarotti, nessun sussulto, nessun contraccolpo per la scomparsa di colei che con le sue lettere e il suo amore lo aveva accompagnato nelle traversie della guerra. Lei, che ne aveva raccolto gli sfoghi e le amarezze, che doveva aver inzuppato di lacrime le sue lettere, che aveva condiviso con lui i momenti di gioia ed esaltazione patriottica, ma anche i cupi ripiegamenti nella depressione seguiti alle ferite e alla mutilazione subita al fronte. Lei che aveva provato vampat di gelosia durante la sua convalescenza in Versilia, che aveva sofferto per le sue assenze prolungate, per i suoi lunghi    silenzi che la inducevano a propria volta a rinchiudersi in sé stessa e a ricambiarlo con il vuoto di notizie, tacendogli perfino le proprie precarie condizioni di salute. Del resto, le loro strade si erano separate da tempo.    

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