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VOCE: TRENT'ANNI E DIMOSTRARLI TUTTI

Il 29 agosto 1993, allo stadio olimpico di Roma si disputava Lazio-Foggia, allenate rispettivamente da Dino Zoff e Zdenek Zeman. Non fu una grande partita (finì zero a zero), ma è passata alla storia perché fu la prima trasmessa a pagamento in diretta da quella che allora si chiamava Tele Più. Per dare un'idea del cambiamento, fino ad allora le partite in diretta, e tutte alle 15 della domenica tranne un posticipo, si ascoltavano dalle radioline a transistor, per vedere le prime immagini, e dei soli goal, bisognava attendere il tardo pomeriggio con Novantesimo minuto condotto in studio da Gian Piero Galeazzi.

Il 26 gennaio 1994, Silvio Berlusconi, magnate delle reti televisive private, annunciava la propria discesa in campo. Per dare un'idea, per la prima volta nel dopoguerra in Italia un movimento politico si riassumeva nella figura di un uomo capace di gestire la politica come le sue televisioni: appiattirsi sull'identità italiana più profonda (antistatale, familista, individualista, cattolica più per le forme che per la sostanza, individualista e conservatrice), senza pretendere di modificarla, ma adeguandovisi completamente e dando così origine a quello che si sarebbe chiamato populismo. Ne scaturirà un caso mondiale con il solo precedente di Juan Peròn, in Argentina.

A metà strada tra questi due eventi epocali, il 29 ottobre 1993, veniva diffuso gratuitamente il numero zero, sperimentale, di Voce cui sarebbe seguito, il 12 novembre, l'approdo in edicola. Si trattava del primo periodico della storia cittadina, con regolare uscita settimanale, creato con recapito di testi su floppy disk, stampe fotografiche e bozza di menabò a una fotoincisione di Reggio Emilia e, dopo, stampato presso una litotipografia della stessa città. Per dare un'idea, la prima impaginazione fatta in casa sarebbe stata possibile solo mesi dopo, le foto digitali, internet e le e-mail erano ancora di là da venire e la rivoluzione digitale nell'editoria era ai primordi. Per dire, insomma, che questi trent'anni compiuti a cavallo di due millenni hanno fatto vivere a Voce una fase di cambiamenti vorticosi dei quali ancora non si riesce a intravedere l'approdo, se è vero che già si profila all'orizzonte l'intreccio della comunicazione con quella intelligenza artificiale che colloca proprio l'editoria fra i campi di battaglia più facilmente pronosticabili. Se dunque il futuro che ci attende appare quanto mai incerto e destinato a ulteriori, imprevedibili trasformazioni, non resta al momento che cercare di predisporci a quel che verrà e sostare un attimo a contemplare il cammino percorso.

Il luogo di riferimento

Un cammino, va detto, che può essere letto in stretta relazione con il luogo di riferimento di Voce, la città che ne è stata causa e scenario: causa, per la volontà dichiarata di contribuire a comprendere gli accadimenti, in una fase storica - quel 1993 - cruciale per il Paese con il crollo dei partiti conseguente a Tangentopoli e all'inchiesta Mani Pulite, ma con ricadute anche su una città che tanto aveva vissuto di politica e partiti e che ora si ritrovava alle prese con vasti vuoti da riempire, un immaginario e una visione di sé da ricostruire. E poi scenario, perché Voce in tutto questo tempo, si è vestita della città, dei suoi piccoli e grandi avvenimenti, cercando di afferrare e poi di spiegare la grande trasformazione in atto: il passaggio verso la città sconosciuta, la Carpi sempre meno Carpi, per chi ha memoria del passato o, per le nuove generazioni, autoctone o no, la Carpi sempre più città e sempre meno comunità. Per capire quel che è accaduto, verrebbe da citare quanto scrivevamo di Carpi in occasione di un altro anniversario di Voce, quello dei vent'anni: "una città invecchiata ma in cui si è ripreso a nascere; che ha perduto in identità, ma acquistato nella difesa di quel che ne resta; che si è vista sfilare la manifattura, ma che ha migliorato in capacità di astrarre e di immaginare; che si è incattivita e richiusa in se stessa, ma che mantiene un buono spirito di comunità; che è diventata più straniera, ma non ancora estranea a se stessa". Possiamo dire, dieci anni dopo, che le cose hanno camminato invece proprio nella direzione della seconda tra le due contrapposizioni? Nel senso che si nasce sempre meno, che si invecchia sempre di più, che la manifattura sta sbiadendo nei ricordi, che l'identità, lo spirito di comunità si sono annacquati e l'estraneità ha finito per prevalere? E' quasi il raggiungimento di un grado zero, quello che si è dovuto registrare in trent'anni: con la progressiva scomparsa di figure di riferimento con le quali Voce ha riempito così a lungo le proprie copertine; con il declino progressivo del tessile-abbigliamento; con il trasferimento della ricchezza, soprattutto dal 2000 in poi, nell'immobilità del mattone e della speranza di rendita passiva; con una mutazione antropologica che vede crescere una popolazione che sempre meno ha da spartire con i vincoli e i legami che tenevano insieme, una volta, la comunità. In tutti i gradi zero, però, si celano sempre delle nuove opportunità: e dall'alto di trent'anni di osservazione di quanto è accaduto, possiamo ben dire che esse risiedono in un nuovo investimento nella cultura, in un saper fare innovativo, nella forza di attrazione che sta nella capacità di progredire, anche al di là dello stretto sviluppo economico; nella bellezza e nella cura del proprio aspetto, dei propri monumenti e della propria memoria.

 

 

Cartoline dal passato

"Un filosso tutto carpigiano" ebbe a definire Voce in un suo memorabile sproloquio Giulio Beltrami, il giorno dei festeggiamenti per i primi dieci anni di Voce. Recitando nel suo stile vagamente surreale un testo di Gianfranco Imbeni, sottolineò, del giornale, l'impronta non schierata, non ideologica, che non covava "il segreto intento di diventare magari un protagonista diretto della vicenda politica cittadina" e che non si prefiggeva altri scopi "se non quello di tentare di esistere". C'erano, ad ascoltarlo, nomi della città che a scorrerli oggi danno l'idea del tempo trascorso, dei mutamenti intervenuti e anche dei vuoti che si sono creati: Renato Crotti, Mario Lugli, Guido Leporati, Cesare Pradella e Corrado Vellani, colleghi del Carlino, Aldo Quintavalla, Giuseppe Branà,  Tiziana Cattini, Ermanno Sgarbi, Franca Bortolamasi, Giovanni Gambino, Ercole Losi, Marco Bagnoli, Simone Bigarelli, il presidente del Carpi dell'epoca, Fausto Salami, rappresentanti dell'associazionismo sportivo e dei club cittadini. C'erano, idealmente, collaboratori che hanno preso altre strade, come Cinzia Sala, Diego Zanotti, Rossana Caprari, Claudia Rosini, Cinzia Matkovic, Laura Parenti, Carlo Alberto Parmeggiani, Roberto Alessandrini, Alessandro Zocca, Pietro Marmiroli, Francesca Meiners, Letizia Ori, Francesca Bulgarelli, Andrea Pirondini, Stefano Michelini, Annunziata Paltrinieri, Paola Sassi, Pietro Benatti; altri che ci hanno purtroppo lasciati, come Bruno Cucconi, Giorgio Boschini, Maria Luisa Beffagna Goldoni, Werther Bruschi, i fotografi Franco Vignoli e Antonio Ferroni e Susi Sanna del commerciale; altri ancora che seguitano ad accompagnare l'avventura di Voce, come Giuliano Albarani, Richard Bonhomme, Judith Waldner, Adamo Neri, Tiziano Morgillo, Vanna Fornasari, Rosella Tagliavini, Orisandro Pappalardo, Paolo Covezzi, Davide Setti, Fabio Garagnani, Luciana Saetti, Lucia Armentano e, per la società editoriale D&F, Maurizio Marinelli, creatore della grafica. E c'era Roberto Righetti, oggi capo di gabinetto al Comune di Modena, che con Annalisa Bonaretti, lei pure indirizzata su altre strade, è da annoverarsi tra i fondatori della testata, oltre a essere stato l'ideatore del nome e il suo primo impaginatore.

La storia in un quadrato

La sede di quell'evento legato al primo decennio, era in via Ciro Menotti, in altri tempi laboratorio artigiano in cui si lavorava il legno: la materia prima era cambiata, ma il lavoro di Voce ha sempre mantenuto l'impronta dell'artigianalità. Il primo a ospitare la redazione, dal 1993 al 1998, è stato però un negozio in via Rocca e per la terza sede, dove Voce avrebbe poi festeggiato i vent'anni, la scelta sarebbe caduta su un locale in via Peruzzi (tra il 2010 e il 2017) ricavato dove sorgeva la Coop, in diagonale con la precedente, a tracciare un ideale quadrato il cui quarto angolo sarebbero diventati gli attuali uffici di via Catellani. Ma gli spostamenti di luogo, in un'area peraltro ristretta ai dintorni del tempio di San Nicolò ancora servito dai Minori Osservanti, sono stati nulla al confronto con quelli legati all'evoluzione tecnologica e all'alternarsi delle persone che vi hanno messo mano. Alla prima sperimentazione avviata nel 2000 con la timida apertura di un sito sostanzialmente passivo, il vero sbarco di Voce nel digitale con l'inaugurazione di un proprio portale dotato di una specifica architettura e della presenza sui social avverrà con l'evento a palazzo Foresti dell'ottobre 2015, presenti apporti nuovi e con mansioni diverse, come Valentina Po, Greta Massari, Martina Po e un cronista di solida esperienza come Fabrizio Stermieri. Tempi nuovi, si sono aperti da quel momento: con l'accelerazione del processo di trasformazione della città, la frammentazione della società e dello stesso dibattito pubblico, sempre più disperso nei dettagli e meno ancorato a visioni generali. C'è stato l'imperioso affiorare dei temi ambientali e di quelli legati all'andamento di sistema produttivo che ha conosciuto l'avvento, non sempre felice, dei fondi di investimento mentre la città appariva impegnata più a mettere al riparo nel mattone le vecchie risorse, figlie di un tempo irripetibile, che non a crearne di nuove. E' diventata sempre più stringente la questione della presenza straniera che dalle prime avvisaglie a metà degli anni Novanta, nel 2014 saliva al proprio massimo storico (14,22 per cento sulla popolazione residente), superiore al dato del 2022 (14,03). Ha subito un'accelerazione il dato dell'invecchiamento della popolazione, con relativi risvolti sociali e sanitari, a fronte di un andamento declinante delle nascite. Si è accentuata la percezione di una insicurezza legata più al degrado, all'estraneità di una parte della popolazione, agli evidenti problemi di manutenzione imposti da una città di estensione spropositata rispetto al numero degli abitanti che non a un aumento oggettivo dei reati. E non è il caso di diffondersi qui sul venir meno della politica, sostituita dalle aggregazioni personali, dal prevalere del calcolo elettorale sull'interesse generale, mentre si è perduta ogni traccia di classe dirigente che non venga cooptata dalle ampie schiere dei pensionati o del pubblico impiego, con i mondi delle professioni e dell'imprenditoria alla finestra o impegnati solo a far valere gli interessi di categoria.

La svolta digitale

E poi c'è stata la pandemia. Il lockdown, le difficoltà nei contatti, le edicole chiuse, i locali pubblici sempre meno propensi a mettere a disposizione quotidiani e periodici sono andati ad assommarsi al restringimento della base dei lettori di Voce nella versione di carta, insediata anche anagraficamente soprattutto nella popolazione e nella città storiche e più legate alle relazioni interne, alla conoscenza reciproca e puntellate da personaggi e storie condivise. Anche il senso della lettura, di per sé lenta e riflessiva, ha perduto pregnanza, soppiantato dall'incessante incalzare delle notizie, sempre più ridotte a titoli e immagini, restringendo la comunicazione a un'inesauribile scorrere di breaknews. Ne è derivata la necessità, per Voce, di accelerare una transizione all'on line che è stata insieme la presa d'atto di queste tendenze, la ricerca di pubblici nuovi e l'adeguamento allo stesso mutare delle abitudini di letture in quelli vecchi. Non è stato un passaggio semplice, quello avviato nel 2021 e mai completato. E' stato l'avvio di un'esplorazione e di una nuova esperienza che accomuna grandi e piccole testate e per la quale nessuno è ancora riuscito a trovare la ricetta giusta capace di conciliare la comunicazione affidata al web con la sopravvivenza economica e con quella che gli esperti definiscono la "disintermediazione" in atto, vale a dire la convinzione diffusa che di giornali e giornalisti e approfondimenti e inchieste e commenti si possa fare sempre più spesso a meno. E anche a costo di restare disarmati di fronte alle falsificazioni di immagini e testi, magari affidati all'intelligenza artificiale. Questo è il crinale dal quale oggi osserviamo, con Enrico Ronchetti, Elisa Paltrinieri, Judith Waldner i nostri trent'anni. Essendoci lasciati andare a qualche ricordo, va bene: ma se non la scriviamo noi, la storia di Voce, chi lo farà mai? Ma anche nella convinzione di aver sempre cercato, per dirla con Vasco Rossi, di trovare un senso a tante cose della nostra città, anche se un senso, in apparenza, non ce l'hanno.