Ma Davide Lugli si chiede anche se il processo sarà irreversibile

Il mondo sbloccato dall'on line

In che modo gli Italiani hanno reagito alla crisi del Coronavirus? Anche e soprattutto dotandosi e impratichendosi dei mezzi informatici per poter restare connessi tra loro, sia a livello lavorativo che relazionale. L’offerta digitale si è ampliata in modi ai quali fino ad ora non eravamo abituati né avevamo nemmeno pensato: mille biblioteche dell’Emilia Romagna, ad esempio, hanno messo on line un milione di titoli; i più grandi musei al mondo (Uffizi, Musei Vaticani, Louvre tra i tanti) hanno aperto le rispettive gallerie alle visite virtuali; il Teatro San Carlo di Napoli ha deciso di offrire la programmazione dei suoi spettacoli condividendoli in rete; scuole e università si sono dotate di piattaforme per poter continuare a impartire lezioni e sostenere esami; dj e cantanti hanno organizzato serate musicali, gli sportivi hanno continuato a tenere i propri corsi via internet e molteplici sono stati i flash mob organizzati tramite la rete per sentirsi più vicini gli uni agli altri. Un’abitudine che è cambiata radicalmente, poi, è quella della spesa, che anche i meno avvezzi hanno cominciato a fare da casa, riempiendo i carrelli dei più grandi rivenditori tramite le rispettive applicazioni. Per analizzare questo fenomeno abbiamo chiesto delucidazioni a Davide Lugli, ceo e co-founder, insieme a Maximilian Lanaro, di Competitoor, azienda leader italiana nel campo della price intelligence e controllo dei concorrenti online. 

Lugli, qui sembra esserci in atto una bella trasformazione... 

«Oltre alle questioni sanitarie, è ormai evidente come l’isolamento auto-imposto stia influenzando tante altre cose. Abbiamo cambiato i tempi e i luoghi della nostra giornata. Cerchiamo di adattarci al nuovo stile di vita ed emergono tratti del nostro carattere sconosciuti. Con il mondo bloccato, non solo abbiamo la possibilità, ma siamo obbligati a osservare meglio quello che ci circonda, misurando che cosa siamo diventati come persone, come Paese, come umanità. Stiamo tornando tutti uniti contro un unico nemico; distanti fisicamente, ma solidali per una vittoria che arriverà presto. Che cosa succederà quando il virus sarà sconfitto? Avremo sfruttato questo momento per evolvere? Perché c’è un fattore da considerare nel blocco che abbiamo imposto, non tutte le porte sono state chiuse, ci sono quelle digitali completamente spalancate, attraverso le quali stanno passando la comunicazione, il commercio, la formazione, il lavoro, la sicurezza, la ricerca, la pubblicità, la solidarietà. Senza queste porte aperte, oggi saremmo messi molto peggio. Quando potremo tornare a vederci dal vivo, avremo tutti una più alta consapevolezza e inevitabilmente saremo cambiati» 

L’impennata del digitale ha trovato pronti gli Italiani? 

«Non troppo: da sempre siamo mosche bianche in questo settore. Non siamo per nulla digitalizzati, ma tutti abbiamo lo smartphone. Viviamo di discrasie. Prendiamo il commercio, in particolare l’e-commerce. Qui si registra un forte ritardo: la spesa viene consegnata a domicilio, ma dal 22 marzo in poi. Le grandi catene non erano pronte a volumi in così rapida e consistente ascesa e la gestione dei loro affari era impostata su altri modelli: arrivata la botta, non sono state veloci ad adeguarsi e questa si è rivelata una grossa mancanza. Oltre al fatto che non sono riuscite a gestire l’elevato traffico di clienti che si connettevano alle loro piattaforme. Questo ha mostrato tutti i limiti del mondo digitale italiano, al quale manca un pezzo importante nel modello di business che si esplica tramite l’e-commerce. A differenza di Amazon o altri siti che sono pensati per essere fluidi, fisarmoniche che si allungano e si accorciano a seconda degli utenti. Ma c’è un altro tema...» 

Vale a dire? 

«Il pubblico che si è riversato sui negozi on line non è il solito, smart, che usa il pc già da tempo, che naviga. Il pubblico che si è riversato è stato obbligato perché non può uscire di casa. Il vero business, allora, sarebbe adesso non solo quello di essere bravi a vendere il prodotto con il carrello, ma di aiutare questi nuovi clienti, che non sanno niente di web, a comprare da loro» 

Poi c’è il commercio al dettaglio, i negozi... 

«Questa sarebbe l’occasione per prendersi quote di mercato: il negozio di quartiere deve tenere collegati a sé i mille clienti che conosce a memoria. Non serve fare campagne per collegarsi a nuovi utenti, per cominciare a vendere on line adesso: ci vorrebbe troppo tempo per fidelizzarli. Se si vuole cogliere l’opportunità di questo brutto momento, meglio impratichirsi col digitale interagendo con i più fedeli, tenendoli lontani dai concorrenti. E questo non lo fa nessuno» 

Quando finirà, torneremo indietro? 

«Se questo periodo durerà a lungo alcune abitudini si solidificheranno. I vantaggi che dà l’on line in vari settori è innegabile e questo potrebbe spostare il comportamento di molti. Ma ci si può chiedere il contrario: il Paese è pronto a cambiare il proprio modo di vivere? O dovremo tornare a quando le cose non funzionavano benissimo?» 

Cambieranno i rapporti umani? 

«Quello è più difficile: siamo persone fisiche tridimensionali, umane. Piuttosto, tanti telelavori fioriti in queste settimane probabilmente si faranno permanenti: è vero che in ufficio si produce un po’ di più, ma non devi prendere la macchina, non inquini, guadagni in tempo da dedicare al lavoro e al tempo libero, senza contare che ci si impratichisce di tecnologie da utilizzare anche in altri settori. Dagli scaffali sono scomparsi soprattutto gli strumenti per adeguarsi allo smart working: una volta che avremo tutti postazioni efficienti per lavorare da casa, chi tornerà indietro? Al di là di queste considerazioni, credo che quando l’emergenza finirà, la gente semplicemente aprirà i cancelli e scapperà nei parchi». 

 

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