Cercasi risorse per il progetto di housing sociale da sei milioni della Fondazione Opera Pia Paltrinieri

L'abitazione a un costo sostenibile, problema del momento come ha sottolineato di recente anche il Presidente di Confindustria Emanuele Orsini per il quale senza la disponibilità di alloggi non si riesce a essere attrattivi per i lavoratori stranieri, ma neppure per chi, in Italia, si trasferisce da una città all'altra. E' questo fabbisogno, richiamato anche da fonti insospettabili, alla base del piano che ha in mente don Carlo Bellini nella sua qualità di Presidente della Fondazione Opera Pia Paltrinieri di Santa Croce. Che un immobile importante lo possiede, la famosa corte Paltrinieri, per la precisione la parte rustica che si estende lungo Traversa San Giorgio, decrepita e degradata da anni, al centro, al tempo della presidenza di Giliola Pivetti (2007-2011), di un piano di recupero per farne una residenza per il disagio psichico: un investimento della Kos di Carlo Debenedetti sfumato per la strenua opposizione delle suore che gestivano la prospiciente materna "Matilde Capello”.

 

Da almeno tre anni, don Bellini ha in serbo un progetto di massima, redatto da un docente del Politecnico di Milano e che gli è stato suggerito dalla decisione della Cariplo di Milano di dare vita a una vera e propria Fondazione per l'housing sociale. Perché è di questo che si tratta: il disegno di ristrutturare la parte cadente della Corte per ricavare, sui 3mila metri quadrati sui quali si estende, almeno trenta alloggi da affittare a un centinaio di persone, nell'ottica però dell'housing sociale, dell'abitare, cioè, ma facilitando la vita in comune, con spazi da gestire collettivamente allo scopo di creare momenti di socialità fra persone, specie se provenienti da fuori o se anziani, altrimenti condannate alla solitudine. Costo? chiediamo a don Bellini: «Sei milioni di euro – risponde il sacerdote – che non sono certo alla portata della Fondazione Paltrinieri, oggi in condizione di sopravvivere sì, grazie alla materna affittata come ramo d'azienda al vicino nido Colorado, ma non di affrontare un investimento di queste dimensioni». Lui ci crede, però, non lo intende affatto un progetto relegato in un cassetto, perché sarebbe un'opera di rilevanza cittadina, idonea a risolvere almeno in parte un problema molto sentito a Carpi come quello della casa e che si delinea un po' come quello per il recupero della Corte di Fossoli, «...anche se – sottolinea – qui la componente della socialità sarebbe più forte, rappresentata anche da spazi, per esempio una sala computer, da utilizzare per la collettività, con la figura di un facilitatore che agevoli l'insediarsi di questa cultura della comunità».

 

 

Ma, verrebbe da chiedergli, se sapevate fin dall'inizio che la Fondazione Opera Pia Paltrinieri non poteva addossarsi un simile impegno finanziario, come vi è venuto in mente un piano così rilevante? «Ci abbiamo pensato quando si cominciò a parlare di Pnrr – spiega don Bellini – e per un attimo abbiamo creduto che il nostro obiettivo, perfettamente in linea con gli intenti di quel piano, potesse rientrare nei finanziamenti europei. Ma poi ne siamo stati esclusi in quanto Ente privato, nonostante il Comune nomini due consiglieri nel consiglio di amministrazione della nostra Fondazione. E allora – prosegue – abbiamo fatto tentativi con la Cassa Depositi e Prestiti e anche con la Banca Etica che ci ha risposto che per una parte ci starebbe. L'investimento, certo molto a lungo termine, sarebbe anche redditizio, grazie agli affitti. Ma servirebbe che l'intera città ci credesse, convincendosi che ce n'è necessità. Allora si troverebbe chi ci investa o si faccia garante presso qualche banca. In fondo, Carpi vanta una tradizione importante nel creare villaggi e comunità in cui la gente si abitua a stare insieme, dalla Nomadelfia di Don Zeno alla Casa della Divina Provvidenza di Mamma Nina. E che l'esigenza ci sia lo vedo io stesso quando c'è chi si rivolge a me, perché il lavoro lo ha trovato, ma è costretto a dormire sul divano a casa di un amico. Occorre poi capire l'importanza di un luogo dove si sta insieme, nel segno della genitorialità, dell'educazione dei figli. A Lugano, per esempio, lo hanno sperimentato, facendo coesistere studenti universitari e anziani: un sostegno anche al dialogo tra le generazioni». Il progetto è ambizioso, ma il tono di don Bellini non è quello di un sognatore o di un visionario: «E' sempre qui – ribadisce – ne parlo un po' con tutti, voglio farne una questione cittadina. Non finirà in un cassetto».