Il tema della moda non inquinante e del riuso scelto dal gruppo Carpi 2030

Climathon Carpi 2020 parlerà di moda circolare

Quello della moda è il secondo settore manifatturiero in Italia (il primo è l’industria metallurgica) con 70 miliardi di fatturato aggregato e 80 mila imprese attive (dati area studi Mediobanca relativi al 2018). A Carpi è ancora il settore di riferimento, nonostante le continue flessioni: secondo l’ultimo Osservatorio del settore tessile abbigliamento del distretto di Carpi (2018) curato da Daniela Bigarelli dell’istituto di ricerca R&I, a fine 2017 le imprese erano 783 con 5 mila 412 addetti e 1 miliardo e 400 milioni di euro di fatturato. Numeri che, nel frattempo, complice anche la pandemia, sono sicuramente cambiati, ma non così radicalmente da compromettere l’importanza del tessile per il territorio. Anche nel mondo la moda ha tutta un’altra serie di “primati” non proprio lusinghieri: dopo l’industria del petrolio, quella tessile è la più inquinante per l’ambiente, dalla quantità di pesticidi riversati nelle piantagioni di cotone (il 18 per cento della totalità), alle sostanze chimiche utilizzate per trattare i tessuti e poi ritingerli, alla impossibilità di smaltire gli abiti in fibre non naturali in modo ecologico, fino alla quantità di acqua necessaria per produrre un capo di cotone (3 mila litri per una camicia, 7 mila per i jeans).  E come in tutti gli altri comparti industriali, anche nella moda il tema della sostenibilità ha cominciato a suscitare una serie di prese di posizione e movimenti. Il fenomeno della moda veloce (la cosiddetta fast fashion) ha ulteriormente moltiplicato abusi ed eccessi, creando danni a volte irrimediabili alla natura e alle persone costrette a lavorare in condizioni penose.

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