Alle origini del dramma degli Istriani di Fossoli
È anch’essa storia dell’ex campo, spiega Marzia Luppi, e terminò solo nel 1970
Se il campo di Fossoli è noto a tutti come campo di concentramento e smistamento durante la seconda guerra mondiale, la sua funzione di centro di accoglienza di profughi giuliano-dalmati è invece meno conosciuta. Furono quasi 1.500 i profughi (250 famiglie), appartenenti alla comunità italiana istriana e dalmata, ospitati nel Villaggio San Marco a Fossoli, dopo aver abbandonato le proprie case e tutti i propri beni nelle ex province italiane di Istria e Dalmazia a seguito degli accordi internazionali che, ridefinendo il confine orientale italiano, al termine del conflitto assegnarono quei territori all’allora Jugoslavia. Il Villaggio San Marco fu aperto il 7 giugno 1954 e chiuso il 7 marzo 1970. All’interno della struttura trovarono posto spazi commerciali, centri di aggregazione, uno studio medico, attività artigianali come la falegnameria e la tipografia gestiti dagli esuli stessi, poi la scuola, l’asilo e la chiesetta. Dal 2006 la Fondazione Fossoli si dedica anche a questa parte importante della storia del campo di Fossoli. Dopo la mostra “Profughi nel silenzio”, il prossimo febbraio uscirà un quaderno didattico sul Villaggio San Marco. Nel frattempo quest’anno la Fondazione è stata impegnata nella produzione di un’altra mostra, intitolata “Italiani d’Istria. Chi partì e chi rimase” con le opere fotografiche di Lucia Castelli. E proprio nell’ambito della promozione dell’evento, la Fondazione ha organizzato l’iniziativa “Storia in viaggio. Dall’Istria a Fossoli”. Qualche settimana fa i 34 partecipanti (per la maggior parte docenti) hanno compiuto un itinerario di tre giorni sul confine orientale italiano, tra Trieste e le zone adiacenti, sulle tracce dell’esodo giuliano-dalmata.