Sulla frontiera del disagio
'L'aggettivo Clinica - spiega - non deve far pensare a contesti medico-ospedalieri, ma come aiuto ravvicinato alla persona'. In un ambito che comprende un'ampia gamma di disagi, dai disturbi comportamentali a quelli specifici dell'apprendimento
“Visto da vicino nessuno è normale”, diceva uno slogan dell’Ushac (Unione sportiva portatori handicap di Carpi) datato ma quasi profetico. Negli ultimi anni sono aumentate le tipologie di disagi, forse in risposta a una crescente complessità del tessuto sociale. Le diagnosi di iperattività, deficit di attenzione, disturbi comportamentali fatte fra i banchi di scuola sono sempre di più, senza contare quelle di disturbi specifici dell’apprendimento, i cosiddetti Dsa. Per dislessici, discalculici, disgrafici e disortografici è un autentico boom: il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca parla di un aumento di 67 mila studenti in un anno. Un’enormità. Il dibattito è acceso per capire se tutto ciò sia dovuto a un eccesso di diagnosi, a una tendenza da parte dei genitori nel voler trovare cause neuropsichiatriche piuttosto che interrogarsi su un’eventuale errata educazione dei propri figli oppure a una confusione tra difficoltà di apprendimento e disturbo conclamato. Poco importa, leggere male o non sapere le tabelline può portare il bambino a sentirsi inadeguato e incapace a causa di prestazioni scolastiche scadenti. Ecco allora nascere nuovi profili lavorativi specializzati a fianco di psicologi e psicoterapisti: logopedisti, psicomotricisti, counselor e pedagogisti clinici.