Quelle lettere a Focherini che lui non lesse mai
Carissimo Odoardo, siamo qui tutti sani e salvi ad attenderti ansiosamente”. Quel 29 maggio del 1945, quando Maria Marchesi prese carta e penna per scrivere una ennesima lettera a suo marito che da mesi non dava più notizie di sé, l’Italia era appena uscita dal disastro della guerra. Da poco più di un mese i combattimenti erano cessati, gli allarmi aerei erano solo un triste ricordo, seppure ancora vivido, i reduci cominciavano a rientrare a casa, qualcuno sperava in un mondo migliore anche se molti piangevano ancora i propri cari scomparsi, le proprie case distrutte, le proprie vite annientate dal dolore. Lei, Maria Marchesi, sperava ancora: di Odoardo Focherini, suo marito, giornalista de L’Avvenire, padre dei suoi figli, da quando aveva lasciato il campo di concentramento di Fossoli per essere deportato in Germania aveva avuto solo poche frammentarie notizie, le ultime nell’agosto del 1944. A settembre Odoardo Focherini, accusato di aver aiutato ebrei in fuga e arrestato dalla Gestapo, era stato trasferito dal campo di Gries vicino a Bolzano a quello di Flossenburg in Baviera e poi, a ottobre, nel sottocampo di Hersbruck dove detterà all’amico Teresio Olivelli (anch’egli recentemente assurto agli onori degli altari) le due sue ultime lettere a casa: morirà fra gli stenti poco dopo Natale di quello stesso anno. Per mesi Maria rimase in attesa di notizie e per mesi, incessantemente, scrisse al marito lettere che, dopo essere state inesorabilmente passate al vaglio della censura tedesca, venivano respinte al mittente.