Popolo di Dio e Nomos: una lettura teologica dell’opera di don Zeno
Carpi – Anche se qualche riferimento vernacolare potrebbe indurre a pensare il contrario (si citano per esempio al perdunèdi, nel senso di grande propensione al perdono) l’ultima opera su don Zeno apparsa in questi giorni non è affatto l’ennesima ricostruzione della biografia del sacerdote a partire dalle sue profonde radici locali e dall’umiltà e semplicità della gente che si raccolse intorno a lui.
Come si può intuire già dal titolo, “Il carisma dell’unum in don Zeno di Nomadelfia” (2016, stampato in proprio, 400 pagine, 25 euro, reperibile alla libreria La Fenice) il libro di don Roberto A.M. Bertacchini, 64enne, sacerdote, filosofo e teologo carpigiano (a lato), già autore di importanti studi su Sant’Agostino, assume piuttosto la vicenda del fondatore di Nomadelfia all’interno di una complessa – e talvolta molto ardua – lettura teologica. È una lettura che si impernia sulla convinzione dell’autore che la nozione di “Popolo di Dio”, divenuta un’astrazione e dissoltasi nei secoli da quando i battezzati hanno smesso di essere una realtà organica, sarebbe invece stata recuperata nell’esperienza storica di Nomadelfia. Questo perché, sottolinea sempre Bertacchini, “…è solo con don Zeno che riemerge il senso del valore politico del Popolo di Dio”, mentre le singole realtà ecclesiali, sia pur strutturate, come per esempio i focolarini o Cl, non lo sono per nulla. “Non decidono insieme ciò che pertiene a tutti – scrive l’autore nella parte finale del volume –. Sono i vertici che decidono. Non discutono insieme. Sono i consigli direttivi che discutono”. Al contrario, è solo con don Zeno che torna quel concetto di Popolo di Dio “teorico e pratico che fu di Sant’Agostino”.
A questa conclusione Bertacchini arriva dopo un percorso lungo 400 pagine che riassume in una ventina di esse i tratti caratteriali di don Zeno, le sue contraddizioni e il suo linguaggio. Ma poi viene scandito da approfondimenti su don Zeno e la Chiesa gerarchica, sulle famiglie adottive e sulle mamme di vocazione di Nomadelfia considerate alla luce del contesto teologico neotestamentario, sulla paternità sacerdotale e sulla fraternità.
L’altro tratto di rilevanza teologica che Bertacchini intravede in Nomadelfia è quello che definisce “la questione del nomos”. Per dire che l’esperienza di quella comunità recupera il nomos, la legge, ma non nel senso in cui la si intende nomalmente, bensì come la legge originaria, costitutiva del vivere civile, la legge divina che gli uomini applicano e che, come viene tradotta nel termine Nomadelfia, è legge di fraternità. Dunque, se il nomos, la legge, è fraternità, “…ciò significa che essere fraterni è essere materni gli uni verso gli altri, secondo la maternità del Padre”. Il che spiega, secondo Bertacchini, perché Nomadelfia non esisterebbe senza le mamme di vocazione “…che sono il sacramento più alto possibile di questa maternità divina”.
Non sappiamo quanto Don Zeno, di indole pratica com’era, fosse consapevole degli ingranaggi teologici messi in moto dal suo agire, almeno secondo la lettura che ne dà don Bertacchini. Se lo fosse stato, probabilmente non avrebbe avuto modo e tempo ed energie sufficienti da dedicare alla sua impresa.
Un discorso di don Zeno