Sarà nella club house del Club Giardino lunedì 4 febbraio alle 21, a un incontro aperto a tutti per la presentazione del suo ultimo libro “La stagione delle nomine” (Roma 2018, 354 pagine, 18 euro). L’autore, Pier Luigi Celli, 76 anni, è noto al grande pubblico per i quattro anni (1998-2001, governi D’Alema e Amato) trascorsi alla Direzione generale della Rai, sotto la presidenza di Roberto Zaccaria, riminese come lui, e per la sua intensa attività editoriale. Vanta però una carriera manageriale di tutto rispetto anche alla direzione dell’Università Luiss e di Unicredit banca, nonché ai vertici di grandi aziende come Hera, Adr, Bat, Unipol, Poste italiane, Sensemaker e Illy. Il libro affronta, in chiave di giallo, le trame (fortemente allusive alla realtà) che si intrecciano soprattutto nei salotti romani, dove Vaticano, partiti, servizi segreti, malavita giocano insieme per decidere le nomine delle più grandi aziende di Stato. Il gioco però si fa duro, con il ritrovamento del cadavere di un dirigente destinato a sostituire l’amministratore delegato di un grande gruppo. A cercare di sciogliere il mistero è chiamato il commissario Guglielmi che si troverà alle prese con scenari inquietanti dominati da forze oscure che tenteranno di fermarlo, confermandolo nelle sue riflessioni, si legge nelle note editoriali, “sulle miserie a cui è stato condotto il paese da un ceto dirigente approssimativo e arrogante”. Professore, non ho ancora avuto il tempo di leggere il suo libro.
Pier Luigi Celli: nomine nei grandi enti? Da noi saranno sempre un giallo
Pier Luigi Celli: nomine nei grandi enti? Da noi saranno sempre un giallo
Giuro che lo leggerò dopo quello di Filippo Ceccarelli, “Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua”, che quanto a quadro della classe dirigente non scherza... «Allora di tempo dovrà impiegarne un bel po’. Il libro di Ceccarelli, che è un amico, è quasi mille pagine...» Lui, però, i nomi li fa... «Io non potevo: sa, il mio è un romanzo piuttosto puntuto» Quelli che lei chiama in causa, definendoli “parti della fantasia”, però, finiscono sempre per riconoscersi e tirare in ballo lei. Tanto varrebbe fare nomi e cognomi. «Ma no, è meglio lasciare un po’ di spazio alla fantasia e all’immaginazione. Nel libro cerco di riassumere, appunto in forma romanzata, quello che si ripete in ambiente romano a ogni stagione delle nomine. E che non cambia, se non qualche volta, un po’ in meglio e altre volte in peggio» Il libro è uscito nell’ottobre dello scorso anno. Vi ha ritratto anche la “nuova” classe dirigente? «No guardi, la gestazione data da prima, ho cominciato a scriverlo due anni fa.
Per il libro questi ultimi li avevo appena assaggiati, altrimenti sarei stato ancora più duro. Protagonista è piuttosto la stagione renziana, con le componenti comuni ad altre stagioni, rappresentate dallo scatenamento delle forze che si esprimono al momento delle nomine. Il mio è un romanzo sul potere pubblico, per come lo si vede a Roma» A che cosa allude quando parla del coinvolgimento di “vecchi apparati di sicurezza del grande partito dei lavoratori”? «Ho interpretato alcune cose mai ufficiali e che interessano i rapporti con i servizi di sicurezza che finiscono poi per essere cooptati» Il quadro di sfiducia e degenerazione offerto dal suo romanzo non è dunque effetto del governo di questo o di quello, ma si direbbe una categoria dello spirito italico. O esistono anche figure positive? «Ci sono epoche più regolari e altre meno nelle quali emerge un’organizzazione al ribasso. Alla fine un personaggio positivo, tuttavia, c’è: è il commissario Guglielmi, che tira diritto per la propria strada, non subisce pressioni. Ed è grazie a figure come la sua se non siamo ancora capottati».