Dare un corso alle cose: il razzismo dei sommersi della globalizzazione

“Con i finestrini abbassati, l’uomo guardava i due marciapiedi, a destra e a sinistra, rallentava dovunque vedeva persone muoversi da lontano [...] L’andatura dell’Alfa 147 nera era sempre la stessa, lui non aveva fretta [...], doveva solo trovare quel che stava braccando [...]” (Ezio Mauro, L’uomo bianco, Feltrinelli, 2018, p.11). Protagonista della caccia descritta da Ezio Mauro è Lupo, ovvero Luca Traini, il 28enne che a Macerata, nel febbraio del 2018, sparò a degli emigrati di colore per le strade della città, con l’intenzione di vendicare l’omicidio di Pamela Mastropietro. “L’uomo bianco” inizia come un racconto, ma non lo è: nel testo di Mauro la storia di Lupo si alterna a riflessioni su certi fenomeni e aspetti dell’attuale nostra società, dei quali la vicenda di Traini secondo l’autore sarebbe particolarmente rappresentativa. Rappresentativa per esempio del fenomeno del diffuso razzismo? “Sì” è risposta corretta ma, da sola, riduttiva. Mauro propone un’analisi che intende mettere in luce che tipo di stretti rapporti esistano oggi tra il fenomeno del razzismo che si osserva in Italia, e altri fenomeni e situazioni psicosociali, politiche e culturali. Per esempio l’autore evidenzia una relazione tra razzismo e disagi oggi vissuti da certi soggetti e gruppi: “Perché sei qui, negro di merda [...]? Perché indica l’incomprensibile rovesciamento del mondo che stordisce l’individuo isolato, sommerso dal moto della globalizzazione che lo sovrasta [...] Perché io e te ci troviamo insieme? E proprio qui, in questo spazio che considero mio, [...] perché ci hanno vissuto i miei genitori e ora ci sono sepolti, [...] che oggi sento in pericolo perché il mondo mi assomiglia sempre meno. E io do la colpa a te, insieme con tutta la colpa dell’altro mondo che sento ostile [...]” (pp. 24-25). La realtà di disorientamento, paure, di disagi vissuti dall’uomo di oggi, è in modo particolare vissuta dal forgotten man, l’individuo “superstite solitario, prima scartato dalla crescita, poi ferito dalla crisi, comunque deluso dalla rappresentanza, [...] l’uomo che si sente solo scopre che nell’improvvisa fragilità del sistema la sua rabbia può diventare un surrogato della politica, potente” (pp. 54-55).

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