Il Carpigiano che osò competere con i colossi del petrolio

IL CARPIGIANO CHE FECE CONCORRENZA AI COLOSSI DEL PETROLCHIMICO

 

Il saluto che Voce del 1/09/2016) ha dedicato ad Attilio Beltrami deceduto il 22 agosto scorso, un maestro vetraio “silenzioso”, artiere nell’alto senso che dava alla parola il Carducci, mi determina a dedicare un ricordo, che dentro di me cullavo da tempo, a mio padre Giorgio (classe 1908) superando un senso di falso pudore.

Giorgio Imbeni lavorò prima presso la Magneti-Marelli a Milano poi nella succursale della stessa ditta aperta a Carpi intorno al 1940 (espansione della cosiddetta industria bellica) con la passione dell’operaio che desidera migliorare le proprie conoscenze tecniche tanto che presto si diplomò quale perito industriale.

Terminata la guerra lasciò la fabbrica per aprire una sua autonoma attività: lavorare “in proprio” era all’epoca quasi un’esigenza d’onore. Egli poteva contare oltre che sul personale ingegno, sui consigli e la collaborazione dei più esperti fratelli Adorno e Mentore Garuti, veri maghi della meccanica.

Un suo sodale fu anche, per il settore elettrico, Gino Po, il cui figlio Ruggero è stato fino a un mese fa conduttore di programmi della Rai.

La piccola officina di mio padre (che contò per un certo periodo un unico dipendente) produceva stampi per i più diversi prodotti, dai saponi fino alla cioccolata: meccanica dunque di assoluta precisione.

Va detto che l’Imbeni provava un forte amore per le automobili sportive e da competizione. Non consentendogli le sue condizioni finanziarie di ambire al meglio, acquistava auto reduci da prove di velocità massacranti (in particolare la famosa Mille Miglia abolita ormai da molti anni per la sua pericolosità).

A queste macchine ricostruiva di solito l’albero di trasmissione, il loro più delicato e complesso organo vitale.

Ho ancora un vivo ricordo di volate entusiasmanti a bordo di una Cisitalia sportiva, quando invece il padre provò addirittura l’ebbrezza della velocità che un’Alfa Romeo Formula Uno poteva donare sull’autodromo di Modena, all’epoca ancora in funzione.

Tutto ciò fu il preludio di un nostro cambio di attività. Eravamo agli inizi del decennio 1950 e anch’io, quando ero libero dalla scuola, fui affiancato alle imprese del mio genitore, il quale girava per le regioni del centro-nord Italia alla ricerca di posizioni adatte per installarvi dei distributori di benzina. Si fermava ogni volta che ravvisava uno spiazzo al lato della strada sufficientemente ampio per interrarvi una grossa cisterna di carburante.

Il proprietario dello spiazzo di solito risultava essere un negoziante assai lieto di incrementare i propri introiti con la vendita di benzina, miscela benzina a olio, e quant’altro attenesse ai bisogni di una motorizzazione in continua espansione.

La ditta di mio padre si chiamava O.S.A. a significare Organizzazione Stazioni Auto motoscooter, e questa stessa sigla alludeva ad alcunché di periclitante. Il fatto si è che per molti mesi che si sommarono in diversi anni (gli anni della decisiva ripresa economica del nostro paese) O.S.A. lavorò tranquillamente: svolgeva per conto del cliente e a suo nome le pratiche per ottenere le necessarie autorizzazioni prefettizie e , una volta installata la stazione di servizio dalla consociata ditta Felcher di Milano, in ciò specializzata, assicurava la fornitura del carburante con la scelta della marca di gradimento del cliente stesso.

Tutto ciò, come già detto filò liscio per diversi anni, ma a poco a poco cominciarono delle strane difficoltà. Clienti che borbottavano su strani impedimenti, altri che alle nostre offerte nicchiavano o chiedevano tempo per ripensarle meglio… Finalmente uno di essi volle essere chiaro ed esplicito: la proposta era allettante, ma c’era chi non chiedeva alcun impegno finanziario da parte loro, c’era chi avrebbe fatto tutto senza chiedere niente in cambio. Il cliente avrebbe goduto di una percentuale sugli introiti e non sarebbe stato infastidito su questioni burocratiche di altro genere. Su un solo particolare si tendeva a glissare: la stazione di servizio era e restava di proprietà della ditta che forniva il carburante con tutti i servizi a essa connessi. Molti accettarono queste condizioni di svendita della propria soggettività, preferendo una servitù che vantava sicurezza a una libertà che, oltre alla sicurezza, lasciava tutta intera la personale indipendenza.

Così divenne sempre più difficile l’esistenza dell’O.S.S. fino a quando non decedette insieme al suo ideatore nel 1959.

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