Moda il basso prezzo non dipende solo da scarsa qualità

Prosegue la riflessione sulle prospettive della moda di Carpi

Continuiamo la riflessione sulle tendenze fast fashion che stanno indirizzando gran parte dei consumi della moda, mettendo in crisi subfornitori e produttori finali di Carpi ancora legati al binomio moda qualità. Il dibattito, ovviamente, è aperto.

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Perché, si chiede Silvia Pasqualotto in un articolo apparso nei giorni scorsi sul sito on line Kataweb, i capi Primark e H&M costano così poco? La catena irlandese è l’ultima arrivata, ma sono tanti i brand stranieri – da Pinko a Bershka, da Pull&Bear a Zara, quest’ultima a un livello un poco superiore – che vendono vestiti a prezzi bassissimi, attirando milioni di consumatori. Come fanno? Su che cosa risparmiano? E vestiti così a buon mercato sono poi sicuri per il consumatore?

L’autrice del servizio si avvale, per rispondere a questi interrogativi, del lavoro svolto da due ricercatori: Stefania Saviolo, responsabile del Knowledge center fashion di Sda Bocconi, e Mario Rossetti, direttore dell’Associazione tessile e salute, osservatorio tecnico per la tutela dei consumatori istituito dal Ministero della Salute.

Sono tre, secondo i due studiosi, i criteri che determinano prezzi così competitivi: grandi quantità, poca creatività e commessi a basso costo. Primo luogo comune da sfatare: non è affatto vero che il basso prezzo dipenda dal tipo di tessuto impiegato. Il cotone delle T-shirt di questi brand non è diverso da quello delle griffe: solo, i brand come Primark applicano il principio dell’economia di scala, cioè grandi volumi a basso costo. “I loro negozi – spiega Saviolo – funzionano come dei supermercati: agiscono, cioè, su una grande movimentazione di merce che permette loro di tener bassi i prezzi sul cartellino. Comprare mille anziché cento si riflette sull’intera catena del valore, dall’acquisto del tessuto al trasporto. E se si superano certi volumi, le fabbriche produttrici praticano sconti ancora più sensibili”.

E’ il caso di ricordare come a Napoli arrivino container con milioni di metri quadrati di tessuto made in China, tagliato e confezionato nelle migliaia di laboratori attivi in tutta Italia e in particolare a Prato? Ma andiamo avanti. Per far sì che una canottiera costi due euro e mezzo, una maglietta cinque e un paio di jeans non più di 11 euro, è necessario un modello di business esattamente opposto a quello del tradizionale programmato nostrano: niente modelle o testimonial superpagate, niente campagne pubblicitarie e, udite udite, niente stilismo o design: “Manca la fase creativa che alza i costi e può comportare ritardi e inefficienze che pesano sul processo produttivo e quindi sul modello finale”, sostiene ancora Saviolo. Il modello di business, in altri termini, si limita a interpretare o imitare tendenze consolidate e non inventa niente di nuovo.

 

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