Verso la normalizzazione dei tassi, Soldi nostri

Sta per finire l’era dei tassi a zero? In America è già superata, in Europa ufficialmente ancora no, ma i rendimenti delle obbligazioni sul mercato indicano chiaramente la tendenza: il decennale italiano ha raggiunto quota 1,90. Un rendimento interessante in termini nominali, se non fosse che l’inflazione ufficiale nel frattempo ha già raggiunto quota 4,8 per cento. In questo difficile contesto, caratterizzato dalle note tensioni geopolitiche, i consigli per gli investimenti non vanno oltre i titoli indicizzati all’inflazione e, in piccola percentuale (il classico 5 per cento), ai beni rifugio come l’oro, che però risente negativamente dell’apprezzamento del dollaro e dell’aumento dei tassi d’interesse. Per l’azionario, considerata l’alta volatilità attesa, sono consigliabili piani di accumulo in ETF, ben diversificati, mentre per chi non vuol essere esposto alle oscillazioni del mercato obbligazionario risultano sempre valide le polizze assicurative ramo primo, riuscendo a trovarle, però (le compagnie infatti spingono altri tipi di polizze scaricando i rischi sulla clientela). 

Ma torniamo all’inflazione. Ormai le autorità monetarie ammettono che non si tratta di un fenomeno temporaneo, come ci hanno raccontato nei mesi scorsi. Peraltro i bilanci pubblici ne traggono giovamento, a scapito del potere d’acquisto di salari e pensioni, per non parlare dello svilimento del risparmio. È solo grazie all’inflazione infatti che il rapporto debito Pil in Italia è sceso al 150 per cento, dopo aver sfiorato nei mesi scorsi il 160, il che rende più sostenibile il debito pubblico pur in attesa di un aumento dei tassi d’interesse, peraltro minimo. Il Pil infatti è aumentato del 6 per cento, grazie alla politica espansiva del governo, ma, al netto dell’inflazione, sottraendo il 4,8, l’aumento reale viene ridimensionato a un modesto 1,2. Si, badi, non di vera crescita si tratta ma di semplice recupero parziale di quel 9 per cento di Pil perso nell’anno della pandemia. Per ottenere questo risultato il governo ha distribuito generosamente quattrini a destra e a manca: bonus e ristori per tutti, reddito di cittadinanza incrementato, aumento della spesa pubblica, non solo per investimenti. Chi temeva che Draghi fosse un falco rigorista sbagliava di grosso. Ora però che il vento sta girando e dall’Europa arriva l’invito a un più severo controllo del bilancio la festa volge al termine. Peraltro la politica neokeynesiana del governo, già di per sé inflazionistica, ha avuto come conseguenza una distorta allocazione di risorse, come rivelano le numerosissime truffe scoperte dalla Guardia di Finanza: ben quattro miliardi di euro solo dalle cessioni di crediti sui bonus edilizi, dovuti a 11.000 “imprese” create al solo scopo di truffare l’Erario. Per non parlare del reddito di cittadinanza percepito indebitamente non solo dagli scrocconi presenti sul patrio suol, ma persino da un migliaio di rumeni che non avevano mai messo piede in Italia. Truffe rese possibili dalla mancanza di controlli preventivi, volutamente trascurati dai governi giallo verde, prima e giallo rosso, poi (la Corte dei Conti non ha nulla da obiettare su questa benigna negligenza?). Difficilissimo recuperare i denari graziosamente elargiti ai truffatori che, o li hanno già spesi, o li hanno trasferiti all’estero. 

Oltre alla distribuzione di denari a pioggia e, ovviamente, ai rincari dell’energia, hanno contribuito alla crescita dell’inflazione anche le caotiche misure finalizzate alla ripresa economica. Le provvidenze a favore di settori carenti di manodopera o in difficoltà ad approvvigionarsi di materie prime hanno determinato fatalmente un aumento dei costi e, quindi, dei prezzi. Tipico il caso dei bonus edilizi (a prescindere dalle truffe di cui sopra): il prezzo dei materiali è talmente aumentato in breve tempo che il governo è stato costretto ad adottare prezzari per stabilire un limite ai rimborsi riconosciuti. Come ha saggiamente osservato l’ex ministro Giovanni Tria: «L’inflazione si può cercare di contrastare non solo con il contenimento complessivo della domanda, obiettivo di un intervento restrittivo della banca centrale (ovvero con l’aumento dei tassi, ndr), ma anche controllando tempi e composizione della spesa pubblica». Ma, come abbiamo visto, il primo a giovarsi dell’inflazione è proprio il bilancio dello Stato, come del resto i debitori di ogni sorta. Ora però i nodi vengono al pettine e alla fine dell’era della finanza allegra a pagare, come sempre, sarà Pantalone affiancato questa volta anche dal povero Arlecchino (Banca d’Italia e imprenditori infatti escludono la possibilità di una rincorsa prezzi-salari).