Una tassa da centinaia di miliardi, Micromega

Una cosa avevamo sinceramente apprezzato dell’euro: la difesa dall’inflazione. Dopo il raddoppio dei prezzi avvenuto in occasione del cambio della moneta, per un ventennio abbiamo goduto di un periodo di stabilità. Ora, a causa delle politiche monetarie lassiste attuate dalla Bce a partire dalla crisi del 2011 e culminate nel periodo della pandemia, ci viene presentato il conto e l’inflazione, ritenuta a torto un fenomeno temporaneo, viaggia, mentre scrivo, poco sotto il sette per cento, in Italia (in Europa e negli Usa è un po’ più alta). Parliamo di una media, naturalmente, poiché se osserviamo i prezzi dell’energia o di altri beni di prima necessità, si sfiora il cento per cento. Non so quanto questa situazione sia sostenibile dal punto di vista sociale. 

A titolo d’esempio, la bolletta del gas ha superato di duecento euro il mio reddito mensile: se non avessi accumulato risparmi, quando ancora era possibile, questo mese non avrei avuto di che mangiare e mi sarei addirittura indebitato. Le provvidenze del governo sono riservate agli indigenti, e sono comunque irrisorie, mentre i ceti medi sono chiamati a pagare integralmente il conto. È stato calcolato che l’inflazione comporterà una svalutazione di ben 122 miliardi per i soli depositi e conti correnti bancari: di fatto una patrimoniale sulla liquidità. Ma altri 40 miliardi circa saranno persi da chi ha investito in titoli conservati nei depositi amministrati, ovvero obbligazioni che, in aggiunta, si svaluteranno a causa dell’aumento dei tassi d’interesse (inversamente correlati al valore dei titoli), o azioni, che rischiano oltretutto un crollo del mercato se la guerra dovesse protrarsi a lungo e con essa continuasse la penuria di materie prime, con le conseguenti difficoltà per la nostra industria di trasformazione. Ma ai 160 miliardi circa di perdita per i risparmiatori bisogna aggiungere la perdita di potere d’acquisto per chi è a reddito fisso, ovvero lavoratori e pensionati. 

Per le imprese il discorso è più complesso: quelle indebitate non è detto che traggano giovamento dalla svalutazione, poiché è atteso un aumento dei tassi di interesse che si rifletterà sui prestiti a tasso variabile (vale anche per i mutui). Altre imprese potranno godere della rivalutazione delle scorte di magazzino che saranno rivendute a prezzi più alti, sempre che il mercato sia in grado di assorbirle. Già, perché è prevista una forte contrazione dei consumi che rischia di dare il colpo di grazia al mondo del commercio, reduce dal biennio della pandemia. Secondo calcoli degli uffici studi della grande distribuzione è previsto un calo dei consumi di 1.700 euro per famiglia. Il calcolo è abbastanza semplice: basta sottrarre ai redditi la cifra in eccesso spesa per le bollette e il conto è presto fatto. Ma, personalmente, non ritengo che l’impatto più forte avverrà sui consumi della grande distribuzione, anche se già si avvertono segnali di contrazione. Non credo che le famiglie faranno rinunce sul cibo e sui beni di prima necessità, taglieranno piuttosto sui consumi opzionali, dall’abbigliamento, ai viaggi, all’intrattenimento. E qualcuno, l’anno prossimo, magari preferirà svernare nei paesi caldi pagando l’albergo con l’equivalente della bolletta del gas. 

Insomma, stavamo appena uscendo da una crisi ed eccoci precipitati in un’altra ben più grave che forse si sarebbe potuta evitare se, anziché assumere atteggiamenti bellicosi, i governi europei avessero cercato da subito la strada della pace. Lo zelo atlantista dell’Italia, così lontano dalle tradizioni della nostra diplomazia e dal dettato della nostra costituzione (Art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”) è tanto più incomprensibile quanto più è autolesionista. Dicevo: i governi europei; in realtà non tutti, il tanto vituperato Orban ha salvaguardato gli interessi dell’Ungheria ed ha evitato le sanzioni alla Russia, con le relative contromisure. Segno che, volendo, potevamo evitare anche noi di cacciarci in questo pasticcio. Con le conseguenze terribili per il popolo ucraino cui stiamo assistendo a causa del prolungarsi della guerra. Si sa che ogni guerra termina con un trattato: meglio fare pace subito o dopo innumerevoli lutti e distruzioni? Per non parlare del rischio di un conflitto nucleare, ipotesi che non voglio nemmeno prendere in considerazione. Davvero il Donbass vale la distruzione del mondo?