Un patto per il risparmio, Soldi nostri

«La pacchia è finita» disse Giorgia Meloni dopo la vittoria elettorale. Il fatto è che ora la frase vale anche per lei dal momento che la politica della Bce è radicalmente mutata ed è passata dall’eccesso di liquidità a una stretta sempre più cogente. Tassi d’interesse non più a zero o sotto zero ma crescenti, per contrastare l’inflazione a due cifre e, soprattutto, il mancato acquisto di nuovi titoli di debito pubblico da parte della banca centrale (sarà già molto se rinnoverà i titoli in scadenza) impongono al nuovo governo di confrontarsi con i mercati finanziari, come già accadde, drammaticamente, tra il 2008 e il 2011. Questo forse aiuta a comprendere l’apparentemente inspiegabile comportamento autolesionista del Pd, che ha fatto di tutto per perdere le elezioni politiche e si sta impegnando con zelo per perdere anche le ormai prossime regionali: ovvero, in un simile, prevedibile, contesto, è opportuno lasciare il pallino ad altri (accadde già ai tempi di Prodi: in tempi difficili meglio che i rischi e le colpe se le assuma la destra). La spesa pubblica, negli anni del lassismo, in un decennio è quasi raddoppiata (è assestata a oltre 800 miliardi all’anno) e il debito pubblico supera ormai largamente i 2 mila 700 miliardi; solo quest’anno, tra Btp e altri titoli a breve (Bot), occorrerà trovare sui mercati 500 miliardi per rinnovare i titoli in scadenza. Quando gli interessi erano a zero il crescente indebitamento non rappresentava un problema, ma ora la festa è finita, appunto, e occorre trovare sul mercato acquirenti reali, dato il disimpegno della Bce. 

Inoltre, mentre la spesa per interessi già ammontava a 76 miliardi annui, ora occorre pagare cedole sempre più alte (intorno al 4,5 sul Btp decennale). Da qui il nervosismo nel governo, apertamente manifestato dall’attacco del ministro Crosetto alle scelte della Bce. L’unico dato positivo è il miglioramento del rapporto debito/Pil che dal 152 per cento è sceso intorno al 145 per cento, grazie alla ripresina che però rischia di arrestarsi se l’Italia, come buona parte del mondo, nel 2023 finirà in recessione. Insomma, non c’è trippa per gatti e bene ha fatto il governo a rispettare i parametri imposti dall’Unione europea, sconfessando buona parte delle promesse fatte in campagna elettorale. Ma il senso di responsabilità dimostrato non basterà: occorrerà trovare sul mercato investitori privati disposti a prestare soldi all’Italia in un contesto internazionale nel quale la liquidità si va notevolmente assottigliando. 

La soluzione ci sarebbe, dal momento che sul mercato domestico la liquidità presente nei conti correnti bancari è notevole, ma per convincere gli Italiani ad acquistare titoli del debito pubblico occorrono scelte chiare a favore del risparmio. Già si pensa di ridurre o addirittura annullare la tassazione (come già si è fatto con i Pir per favorire l’investimento nell’economia reale) e a incentivi, quali la possibilità di dedurre dalle tasse parte di quanto verrà investito in titoli di stato; sarebbe utile, intanto, eliminare la patrimoniale, un assurdo balzello che, in tempi di tassi a zero, ha reso impossibile l’investimento in obbligazioni (favorendo appunto l’accumulo di liquidità sui conti correnti, meno penalizzati) ma che distorce i rendimenti effettivi anche ora che i tassi risalgono. Tuttavia, oltre agli incentivi, occorre dare ai risparmiatori la garanzia di una gestione rigorosa del bilancio finalizzata alla stabilità del debito e, in definitiva, alla solvibilità del Paese. Occorre un vero e proprio patto per il risparmio, ma questo richiede, coerentemente, anche una politica di tagli alla spesa pubblica superflua. Ecco, su questo punto, la politica del governo è apparsa debole: sono stati rinnovati molti bonus inutili e talora ridicoli concessi dai precedenti governi di matrice populista, si è prorogato per sette mesi il reddito di cittadinanza indiscriminato così che anche nella prossima estate, fino ad agosto, non saranno impiegabili i nullafacenti (il che comporta maggiore spesa per i sussidi e minori entrate fiscali e contributive), ma è prevedibile che poi, all’italiana, si andrà a una proroga. Probabilmente anzi, invece di tagli agli sprechi, ci saranno aumenti di spesa per gli armamenti (non solo per l’Ucraina), dato che Crosetto, ministro della Difesa, già operante come consulente nel settore dell’industria bellica, è l’uomo forte di questo governo. Comprare Btp per salvare l’Italia è certamente fattibile e patriottico, ma se si tratta di permettere allo Stato di acquistare armi è un altro paio di maniche.