Un clima che ricorda gli anni Settanta

Un clima che ricorda gli anni Settanta

di Richard Bonhomme

Per i ben noti motivi geopolitici si sta concludendo un ciclo economico caratterizzato dalla globalizzazione. Alcune produzioni strategiche, e non solo quelle, vengono rimpatriate, aumenta quindi la necessità di manodopera e questo crea tensioni salariali, indotte anche dall’inflazione dovuta all’aumento dei costi delle materie prime, soprattutto quelle energetiche. Per contrastare l’inflazione a due cifre le banche centrali sono costrette ad aumentare i tassi ponendo fine alla stagione della liquidità abbondante e gratuita. Questo repentino mutamento di scenario ha preso molti in contropiede, soprattutto chi credeva che la pacchia del denaro gratis sarebbe durata in eterno, in primis gli speculatori sulle criptovalute, come dimostra il repentino crollo del bitcoin. In piena pandemia i governi hanno varato massicci piani di aiuto economico e fiscale che hanno fatto salire molto il livello del debito. Nella zona euro, includendo tutti i settori economici (stati, aziende e famiglie) si è raggiunto un livello di debito pari al 421 per cento del Pil. 

Tuttavia, la ripresa dell'economia, alimentata anche dalla spesa pubblica, e l'aumento dell'inflazione (che accresce il Pil nominale e svaluta il debito) hanno riportato, alla fine del 2022, il rapporto debito/Pil al livello del 2009, al 370 per cento. Questo processo “virtuoso” sta continuando ma per paesi fortemente indebitati, come l’Italia, non è privo di rischi. I tassi crescenti infatti gravano sul bilancio pubblico e la spesa per interessi riduce la possibilità di manovra economica del governo per il quale è prioritario garantire la possibilità di onorare il pagamento delle cedole e il rimborso del capitale a scadenza, pena il default. Si spiegano così le manovre restrittive della spesa corrente attuate dal governo Meloni. Sembra quasi che la svolta politica in senso conservatore, conseguente all’affermazione elettorale della destra, si attagli perfettamente alle mutate esigenze del paese così come prima, in tempi di vacche grasse, risultava adatto il populismo del governo giallo-rosso, generoso elargitore di bonus a destra e a manca. Smantellare il sistema instaurato al tempo del denaro facile però non è semplice e suscita naturalmente reazioni in chi vede ridursi le prebende, come nel caso del reddito di cittadinanza, in corso di radicale riforma. Inevitabili le proteste e la ripresa di temi d’antan nonché di scontri di piazza che richiamano alla mente il clima non proprio felice degli anni Settanta (qualcuno ricorderà, anche allora, l’inflazione a due cifre e le tensioni sociali connesse). 

In questo cointesto va letta l’elezione di Elly Schlein alla guida del Partito democratico che non a caso ha subito cavalcato la protesta sociale insieme, o meglio, in concorrenza, con il movimento di Conte. Molti sono i capitoli di spesa che il governo dovrà tagliare rimediando anche a errori clamorosi commessi negli anni precedenti.

Si è già detto del reddito di cittadinanza, elargito in passato senza controlli preventivi, fonte di truffe e di distorsioni del mercato del lavoro, ma occorre tagliare anche numerosi bonus, non solo quelli concernenti l’edilizia che hanno contribuito non poco al processo inflazionistico. La riforma fiscale dovrebbe porre rimedio al problema, riordinando le agevolazioni fiscali (leggasi elusione) che impattano sul bilancio in misura pressoché eguale rispetto all’evasione fiscale. Tuttavia, con la modifica delle aliquote, la riforma è destinata ad avvantaggiare i redditi medio alti (che avranno un vantaggio dell’8 per cento) a scapito di quelli medio bassi (che perderanno il 3 per cento) il che al momento non pare opportuno. Nessuno peraltro parla, tra i tagli in programma, di un altro spreco più che evidente. Mi riferisco ai premi della lotteria degli scontrini. Ogni settimana si possono vincere 15 premi da 25mila euro per chi compra, e 15 premi da 5mila euro per chi vende. Ci sono poi anche estrazioni mensili con 10 premi da 100mila euro per gli acquirenti e 10 premi da 20mila euro per gli esercenti. Più una estrazione annuale di 5 milioni per l’acquirente e di un milione per l’esercente: 375 mila a settimana, 19 milioni e 500 mila all’anno per i premi settimanali, più 14 milioni e 400 mila per i premi mensili, infine 6 milioni per il premio annuale. Totale: 39 milioni 900 mila più le spese per gestire il baraccone. Quanta evasione fiscale avrà consentito di recuperare la lotteria degli scontrini voluta dal governo Conte? Posto che il bancomat è stato utilizzato soprattutto nei supermercati, da chi era già abituato a usarlo, e posto che tutti i supermercati, da sempre, rilasciano regolare scontrino fiscale? Ci sono anche i patiti delle scommesse, che facevano il pieno di benzina a pochi euro alla volta, per avere più tagliandi, ma anche in questo caso non si può parlare di lotta all’evasione, dato lo stretto controllo esercitato dalla Finanza sui carburanti. Dunque perché continuare con questo spreco di denaro pubblico, ora che bisogna tirare la cinghia?