Una cosa pare ormai assodata: i mercati non temono l’instabilità derivante dal voto in Italia, anzi, paradossalmente, paiono apprezzarla. Lo spread è immobile e il rendimento dei titoli di Stato pure, mentre ancora lo scorso anno molti scommettevano sulla previsione di un andamento simile a quello del 2011 (spread e rendimenti alle stelle) impostando posizioni short (ora chiuse in fretta).
Questo significa che i mercati hanno già votato e vedono la riconferma di Gentiloni a Palazzo Chigi in ogni caso, sia che il tripolarismo paralizzi il Parlamento, e quindi il governo prosegua per mesi in regime di prorogatio, sia che si vada a un governo del Presidente (preconizzato da D’Alema), sia che l’ingovernabilità renda necessaria una grande coalizione simile a quella che ha retto la Germania fino a oggi.
In tutti e tre i casi Gentiloni è in pole position e garantisce la continuità del governo, il che pare sia molto apprezzato dai mercati. Sovranisti e populisti nostrani non spaventano particolarmente anche perché le loro proposte sono in ogni caso inattuabili, a meno che non si voglia far la fine del Venezuela (ma in questo caso i Masanielli di turno farebbero una brutta fine, nel senso letterale del termine).
Peraltro queste frange estreme stanno moderando i toni: Di Maio ha frenato sull’attacco all’euro e all’Europa e, consapevole che i 5 Stelle non possono governare da soli, apre a possibili maggioranze programmatiche, mentre Salvini, passato in seconda fila dietro Berlusconi, ha pure dovuto frenare sui temi relativi alla moneta che, ovviamente, spaventano l’elettorato moderato (e i risparmiatori lombardi in particolare).