Ora si scopre che in economia non ci sono pasti gratis, Soldi nostri

Il sostanziale fallimento della piattaforma internazionale per lo scambio di criptovalute FTX, seguito da evidenti difficoltà di altri exchange, ha gettato nel panico chi ha creduto in questi investimenti alternativi. In realtà è crollato l’ennesimo schema Ponzi: quando i mercati mostrano segni di cedimento e gli investitori cercano di uscirne, immancabilmente si profila una crisi di liquidità con la conseguente impossibilità di restituire i soldi. Pare che nella rete siano caduti ben 100.000 italiani che, con tutta evidenza, non hanno mai letto, oltre alla nostra rubrica, il Pinocchio di Collodi e ignorano il modus operandi del Gatto e la Volpe (o, se l’hanno letto, hanno pensato: “questa volta è diverso, c’è di mezzo la tecnologia, la blockchain”). Ora tutti chiedono una regolamentazione delle criptovalute, per evitare esiti truffaldini, ma il Far West, dove si aggirano ben 12.000 differenti tipologie di coin, non è regolabile, sarebbe semplicemente da metter fuori legge. E se proprio qualcuno vuol continuare a speculare sul nulla e poi perde tutti i soldi, ben gli sta, non è proprio il caso di provare compassione. È il caso, infine, di fare una considerazione anche sul consumo di energia che il mondo cripto determina in un contesto di crisi energetica a livello mondiale: trovo demenziale che si debba usare il bitcoin per pagare un caffè (già trovo assurdo che, per piccoli importi, si consenta il pagamento col bancomat, figuriamoci per un mezzo che utilizza la blockchain). 

Ma gli illusi che esista davvero il Campo dei miracoli di collodiana memoria non albergano solo tra i millennial patiti delle nuove tecnologie, tra i politici c’è chi ha creduto, e crede ancora, che in economia esistano pasti gratis. L’esempio più lampante è dato dal reddito di cittadinanza, ma va considerato anche il diluvio di bonus di ogni genere, elargiti generosamente a destra e a manca, tutte spese effettuate rigorosamente in deficit, ovvero a carico del debito pubblico, Spese giustificate con la nobile motivazione di sostenere i consumi e in realtà finalizzate al voto di scambio. Ora, incentivare i consumi quando la produzione ristagna, ha un solo effetto sicuro: alimentare l’inflazione. Banalmente: se la torta del prodotto è dieci, ma si aumenta artificialmente il poter d’acquisto a 11, è matematico che si avrà un’inflazione del 10 per cento. Ed è ciò che è esattamente accaduto in Italia. È pur vero che l’inflazione galoppa a livello mondiale a causa della politica lassista seguita negli ultimi anni dalle banche centrali, che hanno immesso nel sistema una marea di liquidità creata artificialmente, ma non tutti ne sono colpiti allo stesso modo. A fronte del dato italiano, 11,9 per cento, la Francia è al 6,2, la Spagna al 7,3, alcuni paesi nordici all’8. Quindi il livello dell’inflazione dipende anche dalle scelte dei governi: chi fa peggio di tutti, in Europa, è l’Ungheria sovranista, che supera il 20 per cento. Nell’area della moneta unica cosa determinano i differenziali di inflazione? Una sorta di svalutazioni per così dire “interne”, con la perdita di potere d’acquisto dei salari e delle pensioni e con la svalutazione del risparmio accumulato. Per anni il denaro facile, con i tassi a zero, ha alimentato politiche assistenziali, ora arriva il conto e a pagare, come sempre, è il reddito fisso.

I risparmiatori apparentemente possono trarre vantaggio dall’aumento dei tassi d’interesse conseguente alla stretta attuata dalle banche centrali, ma in realtà il differenziale tra il tasso d’inflazione (quasi al 12) e il tasso corrisposto dai titoli di stato (intorno al 4 per cento, lordo, poi bisogna calcolare le tasse sulle cedole, la patrimoniale sul capitale e vari altri balzelli) è fortemente penalizzante. In sostanza si stava meglio quando si stava peggio, con i tassi a zero e l’inflazione sotto il 2 per cento. Senza considerare la pesante svalutazione delle vecchie obbligazioni che giacciono nei dossier titoli, penalizzate dal rialzo dei tassi. In estrema sintesi: l’allegra finanza degli anni passati comporta, ora, un impoverimento generale, specialmente dei ceti medi. Sarà interessante studiare il periodo compreso tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, caratterizzato da una forte inflazione, causata anche allora da una crisi energetica, e da forti tensioni sociali.