Nuovi scenari per il risparmio, Soldi nostri

Nel volgere di pochi mesi si sono verificati cambiamenti epocali. Sono stati modificati assetti geopolitici; si è interrotto bruscamente il processo di globalizzazione dell’economia, il che, oltre alla guerra, ha contribuito alla ripresa dell’inflazione; è cambiata drasticamente la politica delle banche centrali, passata da un lassismo irresponsabile a una stretta sempre più forte e non ancora conclusa. Le giovani generazioni non hanno mai conosciuto uno scenario simile, mentre chi è nato nel dopoguerra conserva memoria dell’inflazione degli anni Settanta e Ottanta e dei tassi d’interesse a due cifre. Anche le autorità monetarie sono state spiazzate dalla nuova situazione e per mesi hanno considerato l’inflazione un fenomeno temporaneo, tardando, specialmente la Bce, ad avviare la stretta monetaria, necessaria ma non sufficiente. È evidente infatti che nulla può l’innalzamento dei tassi contro l’aumento dei prezzi delle materie prime importate o dell’aumento del costo del lavoro per le produzioni rimpatriate a causa della necessità di accorciare le filiere produttive. Nonostante tutti questi sconquassi l’economia italiana finora ha retto bene, anche se cominciano a manifestarsi preoccupanti cali della produzione industriale, e l’andamento della borsa di Milano ha riflesso questa congiuntura positiva. 

Anche la politica del governo, accantonate le roboanti e insostenibili promesse elettorali e le parole d’ordine sovraniste, anti euro e anti Europa, ha contribuito alla stabilità e ha dato fiducia agli investitori, nazionali e internazionali. In sintesi: Meloni ha dismesso i panni da tribuno della plebe e ha indossato il doppiopetto, come è capitato a tutti quelli che l’hanno preceduta a palazzo Chigi. In particolare sta riuscendo l’operazione più delicata, fortemente voluta dal ministro Giorgetti, volta a piazzare sul mercato domestico i titoli del debito pubblico che la Bce non acquista più da quando è stata decisa la stretta monetaria. Oltretutto il collocamento delle nuove emissioni avviene a condizioni particolarmente favorevoli per lo Stato, dato che le cedole corrispondono mediamente a circa la metà dell’inflazione (negli anni Settanta invece garantivano una copertura pressoché integrale, con tassi arrivati a sfiorare il 20 per cento). Certo l’onere per gli interessi aumenta per lo Stato, rispetto all’epoca dei tassi a zero o sotto zero, ma la svalutazione aiuta a migliorare il rapporto debito Pil; inoltre le cedole sono tassate e sui titoli (a differenza dei conti correnti) si paga la patrimoniale, quindi aumentano le entrate fiscali. C’è un ulteriore vantaggio per il fisco: il flusso cedolare alimenta infatti i consumi di un ceto di risparmiatori a lungo represso e quindi contribuisce a far girare l’economia nonostante la crisi, con beneficio delle entrate fiscali da Iva e da imposte sui redditi. 

C’è però un rovescio della medaglia: il risparmio trasferito dai conti bancari ai titoli di Stato contribuisce ad accentuare la stretta creditizia e sottrae risorse per gli investimenti privati. Si parla di un calo dei conti correnti di 50 miliardi in pochi mesi, fenomeno che una vulgata pauperistica  attribuisce erroneamente all’erosione dei risparmi delle famiglie per fronteggiare la crisi: in realtà sono soldi affluiti alle aste dei titoli di Stato, per uguale importo. E siamo solo all’inizio: i titoli in pancia alla Bce che dovranno essere sottoscritti dai risparmiatori italiani o essere collocati sui mercati internazionali ammontano a centinaia di miliardi (almeno 500 se non vado errato, a tanto ammonta l’eredità dell’era Conte e Draghi, l’era del denaro facile). Bisognerà quindi che le banche si adattino alla nuova normalità e, per far concorrenza alle obbligazioni, aumentino i tassi sui depositi (qualche banca on line già lo fa). Storicamente i tassi sui titoli decennali sono sempre stati intorno al 5 per cento, l’anomalia è stata rappresentata dai tassi a zero: la Bce negli scorsi anni ha alterato i meccanismi di mercato adottando politiche non convenzionali e ora il ritorno alla normalità sembra spiazzare chi credeva che l’era del denaro facile sarebbe continuata in eterno. La fame di cedole, dopo il decennale digiuno, ha indotto i risparmiatori italiani a tornare precipitosamente alle obbligazioni, ancora quindi non sono stati ripristinati del tutto i normali meccanismi di mercato, ma in futuro i tassi saranno determinati dal rapporto tra domanda e offerta, pertanto, anche se dovesse scendere l’inflazione, i tassi dovrebbero restare a lungo su questi livelli (relativamente bassi, per ora, ma giusti in un prossimo futuro). Questo spiega forse la ritrosia del governo a indebitarsi ulteriormente per sostenere il Pnrr: l’Italia di debiti ne ha già fin troppi e con i tassi in crescita risulta oggettivamente sempre più difficile proseguire le politiche lassiste dei governi precedenti, è già un miracolo riuscire a rimborsare i titoli in scadenza e pagare puntualmente gli interessi.