Investimenti virtuali, Soldi nostri

Mentre sulla ripresa dell’economia reale, finora in grande spolvero (più sei per cento il Pil italiano), incombono minacce vecchie e nuove (un’altra ondata della pandemia, difficoltà nell’approvvigionamento di merci e materie prime, scarsità di manodopera immediatamente impiegabile), il mondo virtuale sembra essere collocato su un altro pianeta. La politica monetaria espansiva delle banche centrali infatti, dopo aver gonfiato le bolle del mercato azionario e ancor più dell’obbligazionario, ora fornisce carburante alla speculazione sugli asset virtuali. Non solo le criptovalute, ormai migliaia, e, in primis, il Bitcoin che ha raggiunto nuovi massimi, pur con una notevole volatilità, ma nuovi strumenti che consentono di puntare su altri asset non solamente finanziari. Tra questi, i cosiddetti NFT (acronimo che significa Non Fungible Token) collegati al mondo dell’arte. Virtuale pure quest’ultima, s’intende, ovvero si possono acquistare, anche in quote, opere d’arte in formato digitale, pagando magari in criptovalute. In altri termini si può agevolmente acquistare, con un semplice click, il nulla con il nulla. 

Non solo opere d’arte virtuale, anche altre amenità come, ad esempio, il primo tweet del ceo di Twitter, acquistato con 2,9 milioni di dollari di NFT. Deve essere davvero una sensazione esaltante sentirsi proprietari di una quota di un tweet di un tal personaggio; ottimo investimento, non c’è che dire, chissà quanto varrà in futuro… Secondo gli osservatori del settore però pare che ci sia un piccolo problema: ovvero l’offerta non corrisponde alla domanda. Molti artisti aspirerebbero a vendere opere virtuali ma pare che scarseggino i compratori (per lo più addetti ai lavori interessati a sviluppare questo settore). Inoltre risulta che la maggior parte di queste opere sono collocate sul mercato primario e stentano a trovare una collocazione sul mercato secondario, ovverossia chi le ha incautamente acquistate poi se le deve tenere. Un mercato illiquido, insomma. Sarò un vecchio dinosauro ma ritengo che un’opera d’arte debba poter essere fruita, non conservata su una chiavetta. Per non parlare dei rischi di clonazione e di contraffazione o di “impersonificazione”; quest’ultimo, a differenza dei primi, comuni anche alle opere d’arte tradizionali, specifico di questa tipologia. È un po’ complicato spiegare qui cosa significhi questo termine, mi limiterò a illustrarne le conseguenze: è stato segnalato, ad esempio, un caso in cui le opere (virtuali) “sono state trafugate attraverso la scansione di un Qr Code fornito da un operatore” che ha permesso l’accesso ai wallet dei collezionisti (fonte Il Sole-24 Ore). Facile, come svuotare una carta di credito prepagata (ma qualcosa di simile è accaduto a volte anche a chi ha “investito” in Bitcoin e si è ritrovato il wallet – ovvero il borsellino – vuoto). Si sa, il mondo virtuale è il regno delle truffe sofisticate. 

Stupisce la benigna negligenza con la quale l’establishment finanziario guarda a tutte queste novità, peraltro una qualsiasi regolamentazione finirebbe con il legittimarle, il che non conviene certo alle banche centrali. Ma anche la tolleranza dei governi stupisce poiché il funzionamento della blockchain utilizzata per i Bitcoin è terribilmente energivoro e quindi in aperto contrasto con le politiche volte al miglioramento del clima. La creazione dei Bitcoin e il mantenimento della rete che consente gli scambi consuma più energia di intere nazioni: che senso ha tutto ciò? Solo per favorire la speculazione finanziaria? Il recente rimbalzo del Bitcoin si è registrato in corrispondenza con il dato dell’inflazione Usa, ormai al sei per cento. I tassi reali negativi (e in Europa ancor più) spingono la speculazione verso questi asset che, in teoria, dovrebbero proteggere dalla svalutazione della moneta ma che rischiano di rivelarsi, alla fine, un gigantesco schema “Ponzi” (dal nome del noto truffatore italo americano). Intanto le banche centrali stanno studiando progetti per creare monete virtuali in concorrenza con le criptovalute. Fatica inutile, più virtuali di così il dollaro e l’euro non potrebbero essere: quando disponete un bonifico on line non è forse già una transazione di denaro virtuale? E anche gli eurofantastiliardi di cui si spesso si favoleggia non sono a loro volta creati dalla Bce con un click?