Il ritorno delle cedole, Soldi nostri

Dopo anni di magra e di tassi a zero, il repentino cambio di rotta della politica delle banche centrali, volta a contrastare l’inflazione a due cifre, ha ridato slancio ai rendimenti obbligazionari. Se, da un lato, questa politica ha penalizzato lo stock di emissioni precedenti, che hanno registrato cali di prezzo fino al venti per cento, le nuove emissioni finalmente hanno rivisto le cedole, assenti, o quasi nulle, da tempo. Il successo del collocamento dell’obbligazione Eni dimostra la fame di cedole dei risparmiatori, da anni a digiuno nell’era dei tassi a zero. Naturalmente il vantaggio per il mondo del risparmio è illusorio e basato solo sul nominale; in termini reali, una cedola di poco superiore al quattro per cento, per giunta pesantemente tassata (per oltre un quarto), in presenza di un’inflazione che supera il dieci per cento, comporta una perdita secca di valore di oltre il sei. Diciamo la verità: il differenziale era più basso con i tassi a zero e l’inflazione al due per cento. Tuttavia, proprio perché l’inflazione è così alta, non si possono più far dormire impunemente i risparmi sui conti correnti. Da qui la corsa ai bond (il collocamento Eni ha reso necessario il riparto a causa di una domanda nettamente superiore all’offerta, peraltro raddoppiata, tale è stato il successo). 

Come muoversi in un mercato ancora incerto? Non sappiamo infatti quale sarà il target finale del rialzo dei tassi, probabilmente intorno al 5 o 5 e mezzo per cento, per cui acquistare oggi può significare perdite immediate in conto capitale in caso di necessità di vendita dei titoli prima della scadenza. Un metodo classico consiste nell’acquistare titoli, con un buon grado di affidabilità e diversificati per emittente, su diverse scadenze periodiche. Ad esempio, disponendo di centomila euro liquidi, si può costruire una “scaletta” investendo subito diecimila euro sulle varie scadenze annuali, per il prossimo decennio. In tal modo si può realizzare un rendimento medio, tra i titoli a più breve scadenza, che rendono meno, e quelli a più lunga scadenza, che rendono ovviamente di più. Con il vantaggio di incassare cedole dall’intero portafoglio e, al tempo stesso, di avere ogni anno a disposizione una cifra abbastanza significativa (diecimila euro) per fronteggiare eventuali imprevisti o da reinvestire alle nuove condizioni di mercato che si determineranno in futuro. Con questo sistema, da cassettista, si possono portare le obbligazioni a scadenza, restando indifferenti alle oscillazioni di mercato (è un po’ quello che fanno le assicurazioni del ramo vita, se ci pensate: comprano titoli e li tengono in portafoglio fino a scadenza). Se le banche centrali fallissero nella lotta all’inflazione e i tassi dovessero schizzare a due cifre (come accadde negli anni Settanta), sarà possibile, anno per anno, reinvestire parte del capitale alle nuove condizioni di mercato. 

Potremo dunque dormire sonni tranquilli? Sì, diversificando l’investimento per emittente (Bot e Btp italiani, Schatz e Bund tedeschi, Oat francesi e, prestando attenzione al cambio, Treasury Usa e Gilt britannici) e sperando che l’Europa non venga trascinata in guerra da Zelensky (le guerre, oltre a lutti e distruzioni, comportano sempre la polverizzazione del risparmio). Su questo fronte i segnali cominciano a essere davvero preoccupanti. La Gazzetta di Mantova infatti qualche giorno fa titolava così, in prima pagina: “Entro primavera i missili Samp-T da Mantova al fronte ucraino”. A Mantova ha sede infatti il IV Reggimento artiglieria contraerea “Peschiera”, più noto come il “quarto missili”, reggimento nel quale hanno militato diversi miei amici carpigiani. Ora, già questo è un atto apertamente ostile nei confronti della Russia, ma se alle armi, come sembra sempre più probabile, si accompagneranno i militari necessari a farle funzionare, ci troveremo in guerra quasi senza saperlo (e senza che il Parlamento lo abbia deciso). Se questo scenario dovesse malauguratamente verificarsi, l’unico investimento adatto sarebbe l’oro fisico, preferibilmente oro monetato. Il valore dei bond infatti finirebbe in polvere alla prima cannonata (ciò che accadde durante l’ultima guerra alla moneta, svalutata di oltre il 4 mila per cento, dovrebbe pur insegnare qualcosa). Sempre che si resti nell’ambito di una guerra convenzionale; se la Russia, alle strette, dovesse ricorrere all’arma atomica (chi può escluderlo a priori?), anche l’oro (di cui al momento stanno facendo incetta le principali banche centrali) servirebbe meno che a nulla.