Il convento è povero, ma i frati sono ricchi, Soldi nostri

Come è noto, una delle maggiori garanzie di solvibilità dell’Italia è data dal notevole risparmio accumulato dalle famiglie. Lo Stato è povero e indebitato, ma le famiglie lo sono assai meno e, anzi, dispongono di una notevole liquidità e di asset finanziari e immobiliari tra i più alti al mondo. Entrambe le cose suscitano al tempo stesso irritazione e invidia nei nostri partner sempre restii quando si tratta di “aiutare” l’Italia con misure straordinarie. I dati parlano chiaro: i debiti dello Stato italiano assommano al 154 per cento del Pil, mentre quelli delle famiglie al 42 per cento; sommando i debiti delle imprese e del settore finanziario si arriva a un totale del 314 per cento. Percentuale elevata, ma molto inferiore al totale dei debiti del Giappone, 649 per cento, del Canada, 474 per cento, della Francia, 448 per cento, del Regno Unito, 433 per cento, degli Stati Uniti, 359 per cento, della Cina, 347 per cento. In Australia, tanto per dire, i debiti delle famiglie raggiungono il 117 per cento del Pil. Possiamo dunque stare tranquilli? In realtà rileviamo che le economie sviluppate sono anche le più indebitate. Il rapporto debito/Pil della Russia è del 119 per cento (solo del 20 per cento quello delle famiglie), il Messico è al 91 per cento, l’India al 176 n per cento. Si noterà che il debito Usa è il triplo della Russia ed è in gran parte in mani estere, cinesi e giapponesi soprattutto. I tassi in crescita non fanno che aumentare il divario, gravando il fardello dei debitori. Non si ha notizia infatti del fallimento di banche, in Russia, a differenza che in America. L’isolamento dell’Occidente nei confronti del resto del mondo sta anche provocando problemi al dollaro: Russia, Cina, India, Brasile, Nigeria e altri stati dell’Asia, dell’Africa, della penisola Arabica e dell’America Latina stanno lavorando al progetto di una moneta, ancorata all’oro, atta a sostituire il dollaro negli scambi internazionali e già da ora provvedono a regolare la compravendita di materie prime con valute nazionali. Difficile immaginare cosa accadrà quando gli Usa non potranno più avvalersi del signoraggio del dollaro (potranno sì continuare a stamparlo, però sarà carta straccia se rifiutato negli scambi internazionali). 

Ma lasciamo questi scenari futuribili e per noi un po’ inquietanti e vediamo cosa sta accadendo, ora, in concreto. Di certo il ridimensionamento in atto della globalizzazione, con l’interruzione dell’interscambio con la Russia e con il graduale ritiro dell’Occidente dalla Cina, non può che avere come conseguenza l’inflazione che, quindi, non si ridurrà più di tanto con l’aumento dei tassi d’interesse. Il perdurare delle tensioni geopolitiche (ora con la crisi di Taiwan, ancora più preoccupante della statica guerra in Ucraina), comporterà l’innalzamento dei debiti degli Stati, anche in conseguenza dell’aumento delle spese militari. Dunque più debito, a tassi più alti: questo squilibrio finanziario genera a sua volta inflazione. Peraltro i rendimenti reali delle obbligazioni rimangono negativi (nel caso dell’Italia, con l’inflazione nel carrello della spesa al 12 per cento e tassi sui titoli decennali inferiori al 4 per cento) e questo determina un effetto espansivo sull’economia che contrasta la discesa dell’inflazione. Infatti notiamo che l’economia reale prospera, nonostante tutto. In questo complicato contesto si inserisce il dibattito politico in corso sul Pnrr. Lungi da me l’intenzione di fare il difensore d’ufficio del Governo, però ritengo che davvero il piano sia inattuabile.Ma lasciamo questi scenari futuribili e per noi un po’ inquietanti e vediamo cosa sta accadendo, ora, in concreto. Di certo il ridimensionamento in atto della globalizzazione, con l’interruzione dell’interscambio con la Russia e con il graduale ritiro dell’Occidente dalla Cina, non può che avere come conseguenza l’inflazione che, quindi, non si ridurrà più di tanto con l’aumento dei tassi d’interesse. Il perdurare delle tensioni geopolitiche (ora con la crisi di Taiwan, ancora più preoccupante della statica guerra in Ucraina), comporterà l’innalzamento dei debiti degli Stati, anche in conseguenza dell’aumento delle spese militari. Dunque più debito, a tassi più alti: questo squilibrio finanziario genera a sua volta inflazione. Peraltro i rendimenti reali delle obbligazioni rimangono negativi (nel caso dell’Italia, con l’inflazione nel carrello della spesa al 12 per cento e tassi sui titoli decennali inferiori al 4 per cento) e questo determina un effetto espansivo sull’economia che contrasta la discesa dell’inflazione. Infatti notiamo che l’economia reale prospera, nonostante tutto. In questo complicato contesto si inserisce il dibattito politico in corso sul Pnrr. Lungi da me l’intenzione di fare il difensore d’ufficio del Governo, però ritengo che davvero il piano sia inattuabile.

Peraltro i rendimenti reali delle obbligazioni rimangono negativi (nel caso dell’Italia, con l’inflazione nel carrello della spesa al 12 per cento e tassi sui titoli decennali inferiori al 4 per cento) e questo determina un effetto espansivo sull’economia che contrasta la discesa dell’inflazione. Infatti notiamo che l’economia reale prospera, nonostante tutto. In questo complicato contesto si inserisce il dibattito politico in corso sul Pnrr. Lungi da me l’intenzione di fare il difensore d’ufficio del Governo, però ritengo che davvero il piano sia inattuabile. In realtà lo è sempre stato, fin dall’inizio, inattuabile, non tanto e non solo per gli ostacoli frapposti dalla burocrazia, quanto per carenza di risorse umane e di capacità tecniche e produttive. Ricordo che da subito le organizzazioni imprenditoriali del settore delle costruzioni avvertirono che se il settore fatturava annualmente tot (sui 20 miliardi all’anno, se non ricordo male), non poteva passare all’improvviso a una produzione dieci volte superiore. In un contesto nel quale persino il settore turistico alberghiero stenta a trovare manodopera per la stagione estiva, figuriamoci i cantieri. Aggiungo che buona parte degli investimenti dovrebbe essere finanziata a debito e, con questi chiari di luna e i tassi in salita, è già molto se l’Italia riesce a rifinanziare i titoli in scadenza, non più rinnovati dalla Bce. Diciamo che la favola del Pnrr ha funzionato come volano per l’economia, grazie a una iniezione di fiducia che ha contribuito a sostenere, finora, investimenti e consumi. Nell’attesa miracolistica dei 200 e più miliardi del Pnrr abbiamo, intanto, evitato la recessione, grazie all’effetto placebo.