Guerre varie e valutarie

Nell’estate abbiamo assistito al ritorno della guerra fredda, con il rinfocolarsi delle tensioni UsaRussia (con reciproche espulsioni di diplomatici), alla minaccia di una guerra termonucleare, alimentata dal dittatore della Corea del Nord, alle solite, innumerevoli, guerre calde in ogni parte del mondo e, a sorpresa, a una guerra valutaria non dichiarata ma tuttora in corso. Sulla base dei fondamentali delle economie americana e dell’area euro gli analisti prevedevano infatti il raggiungimento della parità tra euro e dollaro, mentre invece è accaduto esattamente il contrario: l’euro si è rafforzato e il dollaro si è indebolito. Se non ricordo male, solo gli analisti di Ubs avevano visto il dollaro a 1,20 sull’euro, ma a fine anno, non certo nell’estate come invece è avvenuto.  

 

 

Le spiegazioni dell’accaduto sono le più fantasiose: i media, semplicisticamente, hanno attribuito l’indebolimento del dollaro all’appannamento della figura del presidente Trump a seguito del “rassciagheit” ovvero il “Russia gate” lo scandalo dei rapporti tra Trump e i Russi in campagna elettorale. C’è davvero qualcuno disposto a credere che Trump abbia vinto le elezioni in America grazie all’appoggio di Putin? Una scusa infantile inventata dai Democratici che non hanno digerito la sconfitta della Clinton, ma alimentata ad arte anche in seguito al fine di tenere Trump sotto la spada di Damocle dell’impeachement. Un presidente dimezzato, insomma, che spesso non è gradito nemmeno dal suo partito e che si sta muovendo come la Raggi a Roma, cambiando in continuazione i membri dello staff. Basta questo per far crollare il dollaro, valuta di riserva a livello mondiale? Non credo proprio. 

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