Governo Draghi, che delusione, Soldi nostri

Molti hanno considerato Draghi l’uomo della provvidenza, all’atto del suo insediamento al governo. Finalmente una persona competente e credibile, stimata a livello internazionale, in grado per ciò stesso di ottenere credito e di influire sulle istituzioni europee a vantaggio dell’Italia. Sembrava profilarsi una nuova età dell’oro con l’arrivo dei fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), ancorché la maggior parte di essi fosse a debito, e un nuovo slancio pareva venire anche dall’imminente fine della pandemia, con la conseguente voglia di fare e di spendere. 

Il sogno è presto svanito, ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina. L’inflazione ha cominciato a mordere già dall’autunno scorso ed ha accelerato sotto la spinta della speculazione e dell’oggettiva difficoltà di reperimento di materie prime e di risorse energetiche. Dei benefici del Pnrr i cittadini comuni non han visto nemmeno l’ombra, essendo i fondi indirizzati prevalentemente a grandi progetti, per lo più ancora sulla carta, anche per le difficoltà incontrate dalle imprese nel reperire la manodopera qualificata necessaria alla loro realizzazione. Ci si aspettava da Draghi maggior rigore nella gestione del reddito di cittadinanza, fonte di distorsioni nel mercato del lavoro, oltre che di palesi truffe, e invece tra i suoi primi atti c’è stato un aumento del fondo di dotazione di ben un miliardo di euro. Ma il colpo decisivo alla nostra economia l’ha dato l’atteggiamento atlantista e “guerrafondaio” del governo, appiattito sulle posizioni della Nato e degli Usa riguardo alle sanzioni alla Russia, nostro importante partner commerciale, e all’invio di armi all’Ucraina, che ha determinato il prolungamento del conflitto. 

Le sanzioni, per l’Italia, hanno rappresentato un provvedimento autolesionista, con tutta evidenza lesivo degli interessi nazionali. E tutto ciò per sostenere un paese, l’Ucraina, che non fa parte dell’Unione europea e nemmeno della Nato, quindi attualmente, a rigore, non ancora nostro alleato. Per lenire le pesanti conseguenze economiche di questa scelta il governo ha varato provvedimenti tampone, che gravano in gran parte sul debito pubblico, per “aiutare le famiglie” con qualche manciata di euro. In realtà il vero aiuto alle famiglie sarebbe consistito nel contrastare la speculazione sul gas, a ottobre, e poi nell’evitare le sanzioni (come ha fatto l’Ungheria) che, se protratte nel tempo, porteranno al fallimento migliaia di aziende, già oggi in serie difficoltà, e creeranno centinaia di migliaia di disoccupati. Non mi addentro, qui, in questioni di geopolitica e di strategia militare, per questo rinvio alla lettura degli ultimi numeri di Limes, ma all’atto pratico rilevo le seguenti conseguenze della situazione in atto. Putin, con la sua ossessione di essere circondato dalla Nato, ha ottenuto l’allargamento dell’alleanza a paesi fino ad oggi neutrali (Svezia e Finlandia hanno formalizzato la richiesta di adesione). Biden, altrettanto aggressivo, ha ricostruito, di fatto, la “cortina di ferro”, spostandola solo un po’ più a est e separando nettamente l’Occidente dall’Oriente. 

Tutti siamo precipitati di nuovo in un clima da guerra fredda, con l’aggravante che permangono numerosi conflitti “caldi” in diverse parti del mondo e con la prospettiva di una carestia che affamerà i paesi più poveri imprimendo nuovo slancio a flussi migratori incontrollati. Di globalizzazione, poi, non parla più nessuno. La speranza è che Draghi, che si è sempre dimostrato fedelissimo degli Usa, abbia prospettato a Biden le nostre difficoltà chiarendo che la situazione potrebbe diventare insostenibile dal punto di vista sociale. Intanto l’inflazione galoppa, le borse correggono pesantemente (anche in America) e, per tappare i buchi di bilancio c’è chi insiste per forme di tassazione patrimoniale. Non siamo ancora all’appello di consegnare l’oro alla patria, come nel 1935, ma poco ci manca, a sentire certi commentatori con l’elmetto. Come riequilibrare ora i portafogli? Qualche esperto consiglia di puntare sui Cct, dato che la cedola è indicizzata ai tassi, che sono in risalita ma, anche nella migliore delle ipotesi, il rendimento in termini reali rimane fortemente negativo. Chissà cosa pensano i Tedeschi dello svilimento della moneta dovuto all’inflazione, cui non sono certo abituati, anzi ne hanno il terrore, memori delle vicende di un secolo fa quando venne polverizzato il potere d’acquisto del marco.