Rivolgendogli peraltro un rispettoso pensiero, ammettiamo di non essere mai stati fra i fan di Silvio Berlusconi. Avendo tuttavia vissuto, come giornale, una vita parallela alla sua – noi, nati nel 1993, Forza Italia nel 1994 – abbiamo respirato con lui la trasformazione del Paese, il crollo di storici riferimenti dopo Tangentopoli, l'ingresso dell'ex Cavaliere a riempire un vuoto mal tollerato dalla politica e a interpretare gli umori profondi del Paese. Non è stato infatti Berlusconi a formare (o deformare) la società nazionale, ma il contrario: è stata una parte prevalente di questa società a trovare in lui e nelle sue televisioni le movenze, i pensieri, l'antropologia adatti al momento, lo specchio in cui riflettere la propria insofferenza per le regole, una vocazione liberale confusa con l'individualismo, un cristianesimo di facciata e un anticomunismo anacronistico. Non è stato lui a creare il male oscuro che, originando il populismo, rende ingovernabile questo Paese: ma gli ha prestato il proprio volto di milionario spensierato e sorridente.