Giardini di sinistra

Un tempo, notoriamente, l’erba del vicino era più verde. Ma adesso, per chi, come me, ha qualche metro quadro di giardino da custodire (e ostentare) il problema non è tanto la gradazione cromatica del personale spazio cortilivo (ci sono sul mercato concimi che sarebbero in grado di far verdeggiare anche un palo della luce) quanto, piuttosto, la scelta del modello politico (ripeto: “politico”) da impiegare per la conduzione di prato e siepi. Il disincanto e il disimpegno nei confronti dell’impegno civile tradizionale hanno infatti portato l’ideologia nel tinello di casa o, appunto, nel perimetro del giardino. Detta in termini più immediati (e comprensibili): la gente non tende più a distinguersi in modo convenzionale fra moderati e radicali, o conservatori e progressisti, perché vuole più o meno giustizia distributiva, più o meno potere del governo, il primato della politica sull’economia, o viceversa, e così via. Roba vecchia, novecentesca, incomprensibile, soprattutto per le nuove generazioni. No, adesso il tasso di democraticità o i livelli di liberalismo degli individui, l’essere di destra o di sinistra, si misurano sulla base dei piatti cucinati, degli indumenti che si portano, del genere di massaggio che ci si fa fare al centro benessere. Fanno testo, per capire da che parte pendi, i tatuaggi che porti sulla pelle o la razza del cane che hai al guinzaglio. Nonché, appunto, il modo con cui conduci il tuo pezzo di terra, anche se è un tre metri per due. Ecco perché il giardino, o meglio il profilo che gli dai, diventa “politico”.

La proliferazione, anche a Carpi e dintorni, delle unità abitative autonome (o relativamente autonome, come nel mio caso), con annesse aree adibite a cortile, ha progressivamente determinato, al riguardo, la formazione e il consolidamento, nel tempo, di correnti di pensiero ben precise, di veri e propri partiti del giardino, sostitutivi delle antiche appartenenze ideologiche. A seconda della frequenza e dell’intensità delle piantumazioni e delle potature, oppure sulla scorta della differente trattazione del problema delle erbacce, oppure ancora alla luce di variabili come il rapporto fra irrigazione artificiale e annaffiature spontanee, direi si configurino, tendenzialmente, quattro scuole di pensiero giardinesche (e perciò stesso “politiche”, nel senso appena detto). 

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