Progresso

Adesso pare che nessuno se ne ricordi più. Ma  quando venne inaugurato, l’allevamento cooperativo  modello di via Lunga, a Migliarina,  sollevò molti entusiasmi. Tanto è vero che, pur  essendo già gli anni Settanta, lo chiamarono con  un nome evocativo di ottimistiche pianificazioni  sovietiche e di riforme kolchoziane: “Progresso”. La  stalla sociale “Progresso”, dunque, è stata il simbolo  di quella gran voglia di agricoltura e zootecnia collettivizzate  che ha resistito a lungo da queste parti,  prima di essere accorpata nel più pragmatico e  socialdemocratico Consorzio Gran Terre. Per poi  dissolversi nel nulla, cedendo alle regole della globalizzazione.  Ora è uno spettacolo malinconico di  pali che non reggono più nulla, di fieno putrefatto,  di tettoie divelte e arrugginite, di alloggi per custodi  che sono andati via. E vien da chiedersi perché le logiche  del mercato finiscano per cancellare sempre le  cose del territorio, quelle che fanno la nostra identità,  che sono anche le migliori e più genuine. Non è  caduta una stella, ma una stalla: che è molto peggio.  

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