Adesso pare che nessuno se ne ricordi più. Ma quando venne inaugurato, l’allevamento cooperativo modello di via Lunga, a Migliarina, sollevò molti entusiasmi. Tanto è vero che, pur essendo già gli anni Settanta, lo chiamarono con un nome evocativo di ottimistiche pianificazioni sovietiche e di riforme kolchoziane: “Progresso”. La stalla sociale “Progresso”, dunque, è stata il simbolo di quella gran voglia di agricoltura e zootecnia collettivizzate che ha resistito a lungo da queste parti, prima di essere accorpata nel più pragmatico e socialdemocratico Consorzio Gran Terre. Per poi dissolversi nel nulla, cedendo alle regole della globalizzazione. Ora è uno spettacolo malinconico di pali che non reggono più nulla, di fieno putrefatto, di tettoie divelte e arrugginite, di alloggi per custodi che sono andati via. E vien da chiedersi perché le logiche del mercato finiscano per cancellare sempre le cose del territorio, quelle che fanno la nostra identità, che sono anche le migliori e più genuine. Non è caduta una stella, ma una stalla: che è molto peggio.
12 Aprile 2017
Progresso
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