Italia

Ci siamo. Non se ne poteva più di una campagna  elettorale cupa e vuota. Degna figlia – e rivolgiamo  un pensierino a chi abbinava l’Italicum  e la Riforma costituzionale all’orticaria – di una legge  elettorale capace di produrre una scheda dove i nomi  del listino sembrano messi lì solo per far sbagliare gli  elettori... La scadenza impone nervi saldi. Quelli che  servono a sbarazzare il campo dall’idea che testimoniare  una protesta sia la stessa cosa che governare. E che esistano  bacchette magiche in giro. O che l’urlare uno slogan  in tivù o nelle piazze possa tradursi in fatti all’altezza  delle aspettative. Chi vince in questo modo, comincia a  perdere un minuto dopo il brindisi e sarà spazzato via  dalla stessa onda che lo ha portato su. Siamo fatti così, in  questo Paese: bisognosi di illuderci, di farcela raccontare  e di crederci, pur avendo avuto mille volte la prova che  qui da noi le grandi avanzate si misurano a centimetri.  Che le riforme sono la sola rivoluzione possibile. E  che i progressi sono figli più dei compromessi che delle  palingenesi. Se lo si capirà potremo finalmente dire di  essere non un paese normale, ma semplicemente adulto. 

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