Ci siamo. Non se ne poteva più di una campagna elettorale cupa e vuota. Degna figlia – e rivolgiamo un pensierino a chi abbinava l’Italicum e la Riforma costituzionale all’orticaria – di una legge elettorale capace di produrre una scheda dove i nomi del listino sembrano messi lì solo per far sbagliare gli elettori... La scadenza impone nervi saldi. Quelli che servono a sbarazzare il campo dall’idea che testimoniare una protesta sia la stessa cosa che governare. E che esistano bacchette magiche in giro. O che l’urlare uno slogan in tivù o nelle piazze possa tradursi in fatti all’altezza delle aspettative. Chi vince in questo modo, comincia a perdere un minuto dopo il brindisi e sarà spazzato via dalla stessa onda che lo ha portato su. Siamo fatti così, in questo Paese: bisognosi di illuderci, di farcela raccontare e di crederci, pur avendo avuto mille volte la prova che qui da noi le grandi avanzate si misurano a centimetri. Che le riforme sono la sola rivoluzione possibile. E che i progressi sono figli più dei compromessi che delle palingenesi. Se lo si capirà potremo finalmente dire di essere non un paese normale, ma semplicemente adulto.
7 Marzo 2018
Italia
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